Joe Johnston, Usa, 1999, 108 min.
Trama: Anni ’50, paesino sperduto negli Stati Centrali. La storia vera di Homer Hickam (Jake Gyllenhaal), adolescente appassionato nel costruire razzi (no canne eh, razzi veri) che vede nella vittoria in un concorso scientifico nazionale l’unica via di fuga da un futuro speso a lavorare in una miniera di carbone assieme al padre. All’inizio ha tutti contro – tranne la discreta professoressa di matematica – lui e i suoi amici sparano in aria decine di razzi, alcuni esplodono, altri non partono nemmeno. Però alla fine ce la fanno. Tutti zitti.
Il Film: questi film di solito non li guardo nemmeno, mi fanno cacare perché son proprio la classica americanata, tutti fatti a stampino sul tema del “se ci credi davvero puoi raggiungere qualsiasi traguardo”, mai vero nella vita reale, o almeno non a queste latitudini. Capita sì, che qualcuno ce la faccia, come in questo caso (il film è una storia vera, Homer Hickam poi è diventato ingegnere alla NASA, tanto di cappello), però succede di rado. E’ chiaro anche senza vedere il finale che il concorso lo vincono, che nonostante il disappunto del padre che lo vorrebbe in miniera invece che a fantasticare su un futuro impossibile, alla fine il babbo aiuta il figliolo (la scena della riconciliazione è d’obbligo). Come era prevedibile che qualcuno morisse (anche qui scena lacrimosa di lei che guarda il razzo nel cielo dal letto d’ospedale, con musica lacrimosa e atmosfera lacrimosa anche quella). Ambientato peraltro in una comunità utopica che sostiene i quattro amici nella costruzione dei razzi, dove la gente si fa anche una ventina di kilometri la settimana per andare a vedere la partenza (qui da noi ci si ignora tra vicini di casa, figuriamoci se si andrebbe a vedere un razzettino di acciaio che vola, c’importa na’sega a noi). Tutto questo per dire che Cielo d’Ottobre non è niente di speciale, n’avrò visti mille così, cioè di film che incarnano lo spirito americano dell’emergere, dell’impegno, dei sogni di gloria. Devo dire che me l’aspettavo un po’ meno ordinario, considerando che il regista è lo stesso di Jumanji, che secondo me è unico nel suo genere, grande film, però il risultato è questo: non mi è dispiaciuto. Forse perché Gyllenhaal mi garba tanto come attore (lo ringrazierò in eterno per Donnie Darko), forse perché alla fine ci mostrano cosa hanno fatto poi i protagonisti della storia, con le scritte sotto che fanno sempre tanta tenerezza, o forse solo perché ogni tanto non fa male sognare che le cose per qualcuno possano andare meglio e vincere su ogni pronostico.
Voto: 6,5. Come canta Gianni, uno su mille ce la fa. Daje.
Vitellozzo.