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Mediterraneo

Gabriele Salvatores, 1991, Ita

mediterraneoTrama: 1941. Un manipolo di soldati italiani deve presidiare una piccola isola greca. Un paradiso, lontano dalla guerra. Motivazioni valide per non restare lì? Nessuna.

Il Film: Dovessi dire quanti film mi piaccio di Salvatores farei in fretta. Sono giusto tre o quattro, e tutti dello stesso periodo, tutti più o meno sugli stessi temi: la fuga, l’amicizia, il viaggio. Marrakesh Express, Turné, Puerto Escondido, e questo. Stessi attori, per una formula vincente tra comicità e melanconia che ancora oggi rende quei film i migliori della sua produzione.

Mediterraneo è forse il più complesso. anche per il periodo trattato. Non sono poi così tanti i film italiani sugli anni 40, ed ancora meno quelli sui soldati impegnati sui fronti esteri. In realtà la caratteristica del film è che sì, si svolge negli anni 40, ma i protagonisti parlano come se fossimo negli anni 70, dialoghi forse troppo moderni per dei soldati dell’epoca (“c’è ancora quel fumo che ha lasciato il turco? Ma non sarebbe meglio se fosse sempre così, che ti rubano le armi e ti lasciano sta roba.”). C’è sempre la speranza della costruzione di un mondo migliore fatto di pace e amore che aleggia per tutto il film.
Il mondo migliore i soldati lo hanno già trovato. Un piccolo paradiso di mare, chi glielo fa fare di avvertire qualcuno e farsi venire a prendere? Pianta due pali, e passa la palla. Oppure fai visita alla bella Vassilissa, senza innamorartene magari (“Si è presa a cuore un aspetto psicofisico di tutto…cioè, eh sta portando avanti un discorso…è una puttana!”)

Bisio, Bigagli, Cederna, Catania, Gigio Alberti, tutti attori che danno il meglio di sé, i momenti comici sono tanti, come alcune scene epiche, ma a reggere il film è la figura immensa di Diego Abatantuono, secondo me nel suo miglior periodo, dopo il trash anni 80, e prima del trash revival degli ultimi 15anni. Rido ad ogni sua frase, ogni sua espressione, un mito in questo film.
Oscar come miglior film straniero, colonna sonora bellissima, bei dialoghi, si ride, si riflette, gran film, con un’unica pecca per me: il finale con loro da vecchi che si ritrovano, troppo retorico.

Voto: 7/8Sai che ogni volta che vedo un tramonto mi girano i coglioni, perché penso che è passato un altro giorno. Dopo mi commuovo, perché penso che sono solo.
Le notti mi piacerebbe passarle da solo. Da solo…nsomma…magari con una bella troia, che è meglio che da solo.”


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A Field In England

Ben Wheatley, 2013, UK/Irl

urlTrama: 1687, un campo in Inghilterra, ci sono d…senti io non ho capito di preciso di cosa parla, però è bello. Parecchio.

Il Film: Inizia con la scritta “Attenzione il film contiene immagini lampo stroboscopiche che possono creare danni a persone…” Bene no?
Tutto in bianco e nero, riprese lente tra l’erba e i cespugli della campagna inglese. Costumi perfetti, pistole e moschetti stupendi, e soprattutto un grandissimo realismo.

Se siamo durante la guerra nel 1600, la gente deve essere sudicia, coi denti neri.
Se uno viene colpito alla gamba, si deve vedere il pezzo di gamba che parte.
Se c’è da scavare una buca, si scava con una pala del ‘600.
Se uno ha un’infezione al cazzo, si deve vedere il cazzo con l’infezione.
Ecco in questo il film è perfetto, quasi maniacale nella cura dei particolari, e dell’inquadratura.

Non posso però negare un po’ di difficoltà nel seguire la narrazione degli eventi. Vuoi per i dialoghi filosofici, vuoi perché tocca vederlo coi sottotitoli (perché non vorrete mica che un film del genere lo facciano uscire in Italia vero? Magari tra qualche anno), vuoi per la storia che a mio avviso si perde un po’ nel finale. Insomma non facilissimo da comprendere.
Resta affascinante ed interessante da un punto di vista di stile. E poi a circa metà di film arriva la sequenza di immagini stroboscobische, tagli geometrici, lampi di luci e ombre, assolutamente magnifica, magica, surreale.

Voto: 7,5. da vedere per forza. Dà speranza a tutto il cinema.

Capitano Quint

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Viva L’Italia!

Massimiliano Bruno, Ita, 2012

Trama: il cast italiano delle grandi occasioni: Placido, Bova, Angiolini, Gassman, Papaleo, tutti riuniti in uno dei film più bugiardi, buonisti, ipocriti, in una parola brutti, degli ultimi anni.

Il film: dico solo la cosa più allucinante, il film è una sottospecie di critica alla falsità dei politici italiani, un’ode al populismo, al qualunquismo, il regista recita brani della Costituzione per far vedere come non sia rispettata, insomma si critica il sistema al potere in Italia, e poi la prima scritta che appare nei titoli di coda è:
FILM PRODOTTO DA UN POOL DI BANCHE TRA LE QUALI UNICREDIT, SAN PAOLO, E STI CAZZI.
Ma stiamo scherzando? Vuoi fare il film impegnato della minchia, critichi i politici, critichi il sistema, e ti fai pagare sta cacata da un pool di banche?!! Ma ti levi di culo.

Premio “non c’ho voglia de recità” a tutto il cast.
Premio squallore a due scene: Placido, politico pentito, che cammina tra le macerie de L’Aquila, e sempre Placido che cammina, stavolta in rallenty, in mezzo agli scontri tra giovani e caschi blu. Alla grande, continuiamo così.

Il Voto: 4 al film, non diverso dalle altre commedie commerciali. Attori inqualificabili, situazioni imbarazzanti, parti comiche che fanno quasi compassione.
Il Voto: 2 alla bieca operazione buonista stile Rocky 4 “se io posso cambiare, tutto il mondo può cambiare”.
No idiota, se ti fai dare i soldi da un pool di banche per fare un film che finisce con il volemose bbene siamo italiani, non cambia un cazzo.

Capitano Quint

livello della comicità espresso dalla divertentissima gag con “elena-elena di troia”

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Don Jon

Joseph Gordon-Levitt, Usa, 2013, 90 min.

Trama: il sempre più bravo Joseph Gordon-Levitt veste la parte di un tamarro del New Jersey palestrato e egocentrico, sempre pieno di figa. In qualità di barman – uno status sociale che di per sé ti garantisce un tot. di ragazze minimo all’anno – ogni sabato sera rimorchia tutte superpassere, ultrafiche-ultrasode. La Domenica, poi, da buon italoamericano, va a messa, si confessa, e resta dai suoi per il classico pranzo domenicale. Tutto facile, ma c’è un problema: Don Jon ama i porno, ne guarda decine al giorno, sono la sua droga, molto meglio del sesso vero. Anche quando sembra trovare la ragazza giusta per lui (Scarlett mannaggia a te sei sempre più illegale, sono andato a cercare il profilo di Barbara Sugarman su Facebook, come sarò messo?), questa lo becca a masturbarsi davanti al pc, e i due si lasciano. L’uomo non capisce davvero quale sia il suo problema, non capisce perché fare l’amore non è la stessa cosa per lui che guardare un bel porno. La differenza (ammesso che ci sia, sono un po’ dubbioso) gliela spiega Julianne Moore, brava eh, in un finale però molto banale e, secondo me, anche un po’ stupido.

Il Film: Come esordio alla regia per Gordon Lewitt direi che non c’è male, c’è chi ha fatto di peggio, soprattutto dalle nostre parti (vero Gabri?). Il ritratto del tamarro del New Jersey che tanto abbiamo imparato a conoscere, anche grazie a diversi reality televisivi, è ben fatto: canotta, muscoli al posto giusto, palestra a gogo, capelli laccati perfetti (con annesso taglio da testa di cazzo). Stessa cosa vale per la controparte femminile: cagna quanto basta, rozza e volgare, un filino stupidina e superficiale, una che vuole l’uomo vero al suo fianco e non un frocetto che fa le pulizie in casa (Scarlett, ho il letto sfatto da due giorni, io sono qui), per una recitazione che rende perfettamente l’idea. La nota negativa è data da tutta quella serie di luoghi comuni sul pensiero maschile maschilista riguardo i porno e sul quanto le aspettative degli uomini si carichino a mille, per poi afflosciarsi con la dura realtà dei fatti (non siate maliziosi), e cioè che la tua ragazza non è una pornostar (purtroppo) e non farebbe mai quelle cose, “non sono una puttana!”: il regista sbaglia nel voler far passare a tutti i costi un pensiero che poi non rispecchia la realtà.

Questo è quello che avrei voluto tanto pensare, se solo fosse stato vero. E invece ha proprio ragione Gordon, cazzo. Tutti i luoghi comuni sui porno, e sul perchè li guardiamo, sono assolutamente la verità. La ragazza che ti ama non ti fa un pompino, ne altre diavolerie viste sui filmini; i porno ci mostrano la via da seguire, e grazie al cielo. Parafrasando (più o meno) le parole di Kelso (da Scrubs) “se un giorno da internet togliessero tutti i siti porno, rimarrebbe soltanto una pagina, con la scritta “ridateci i porno!”. L’unica cosa da ricordare (imperdonabile errore Gordon, davvero imperdonabile) per non farsi lasciare da Scarlett – o da chi ne fa le sue veci ma non ce la fa – è solo questa: RAGAZZI, CANCELLATE SEMPRE LA CRONOLOGIA.

Voto: 7-. Anche se io e il Capitano facciamo un po’ i ganzi con questo blogghettino di cinema, dove ogni tanto ci infiliamo dentro qualche film sconosciuto cecoslovaccomaconisottotitoliintedesco, a monte di tutto c’è sempre la relazione fondamentale, da tenere presente quando ci appresta a guardare un film: Film d’autore VS Film d’autore porno….non c’è gara.

 

Vitellozzo.

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Ex Drummer

Koen Mortier, 2007, Bel

39779Trama: il marcio. Una band punk, poco band e molto più che punk, ha bisogno di un batterista, e si rivolge ad un famoso scrittore, il quale vede la possibilità di una storia interessante. Caratteristica principale della band è che tutti devono avere un handicap: che sia un braccio bloccato, una perversione violenta verso le donne, l’omosessualità, o più che altro il non saper suonare.

Il Film: c a p o l a v o r o.  No via capolavoro no, però…però per me è un gioiello. Purtroppo mi fanno impazzire i film marci, sudici, con geniali trovate, e con una colonna sonora ancora più sudicia e geniale, e attori brutti come la fame.

C’è chi lo ha definito la versione estrema di Trainspotting, altri solo una brutta copia, oh magari se smettete di cercargli etichette e ve lo godete vi accorgerete della sua grandezza.
Ancora più della storia (perversa) a far rimanere a bocca aperta sono le scelte del regista, la sequenza iniziale con loro in bicicletta mandata al contrario, lo skinhead che in casa sua cammina sul soffitto, l’interno della vagina della donna di Big Dick (“…soprannome un cazzo, donna fagli vedere! …vedi questo, l’ho fatto io, ora usciamo, sta per pisciare”).

E’ un film che mette a disagio. Non sai se ridere, provare ribrezzo o pena. Una periferia devastata, case che sembrano porcili, un padre che si caca addosso perché legato a letto, uno che fotte la madre dell’amico (Bozzone docet nda), e questo fascistone di scrittore che invece di togliere dalla merda sti tre disperati, li fa affogare definitivamente.
Un solo concerto, una sola canzone (la significativa Mongoloid), e la distruzione totale di tutto. Ridi per le parolacce e gli sketch? Beccati sta strage finale, non c’è proprio un cazzo da ridere. Rimango in silenzio, a disagio, sto male. Ma che cazzo di film immenso.

Voto 7/8. Come spesso accade, sti registi sconosciuti, con due lire in tasca, tirano fuori vere perle, ammirate questi titoli di testa:

Capitano Quint

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C.O.G

Kyle Patrick Alvarez, 2013, Usa, 88 min.

Trama: David è uno stronzetto arrogante appena laureato a Yale, che, assieme alla sua amica Jennifer (un po’ zoccola) – decide di provare la dura vita del lavoro dei campi, e se ne va in un posto dimenticato da Dio nel Sud degli Stati Uniti, a raccogliere mele. L’impatto con il nuovo ambiente si fa subito sentire, soprattutto perché David (pardon, Samuel, il ragazzo crea una falsa identità) si rende conto di essere un ateo convinto in un feudo cattolico. Di più. Si rende conto di essere un gay, ateo convinto in un feudo cattolico.

Il Film: Avendo letto qualche entusiastica recensione, l’impressione che ho avuto alla fine del film è stata, però, meno entusiastica del previsto. C.O.G (Child of God, ndr) aveva tutto il potenziale per essere un ottimo film,  per dare un valido contributo a tutto quel filone cinematografico che si confronta con la religione, che contrappone due visioni della vita diametralmente opposte, quella di un ateo, per di più istruito in un dei migliori college del paese, e quello di una piccola comunità chiusa che vede nell’andare alla messa la domenica una necessità per affrontare la vita nel modo giusto. C.O.G vivacchia per novanta minuti su questo ragazzo, che arriva lì con le risposte sulla vita e su Dio in tasca, ma che poi viene abbandonato da tutti: genitori, la sua amica, perfino dai suoi compagni di lavoro messicani che non gli permettono più di mangiare con loro, e che lui accusa di avergli rubato i suoi guadagni. Le cose si complicano quando conosce Curly, il quale, da buon amico, pensa bene di provare a violentarlo,  e per uscire da una situazione poco felice di una tentata violenza sessuale, si avvicina miracolosamente alla religione, fino (così sembrerebbe) a convertirsi, grazie anche all’amico Jon, credente militante che alterna momenti di misticismo e convinzione cattolica ad altri meno felici, di una violenza verbale non proprio da buon cristiano. Finale amaro, e secondo me tirato un po’ via, della serie oh ragazzi son finiti i soldi ci restano due scene e ciccia.

Voto: 6,5. Senza infamia e senza lode, C.O.G va ad aumentare le fila di tutto quell’esercito di film che potevano essere e che non sono stati. In questo caso la colpa non è neanche degli attori, che mi sono sembrati tutti bravini. Neanche la storia, che come ho detto era ricca di spunti interessanti da approfondire; però alla fine è uscito tutto troppo insipido, e anche scialbo.

Vitellozzo.

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Il Rosso e il Blu

Giuseppe Piccioni, 2012, Ita

locandinaTrama: la scuola italiana come non è. Perché non solo il proiettore per vedere i film non ha mai funzionato, ma se per sbaglio una volta ha funzionato, nessuna classe si è mai messa a vedere un film tutti abbracciati, a ridere con il professor Scamarcio.

Il Film: merda, banalità, squallore, cattivo gusto, tutto in questo film. 4 storie di professori e studenti, una peggio dell’altra.
Purtroppo nel mezzo ci finisce anche Margherita Buy nella storia più inutile, lei preside o professoressa che accompagna un ragazzo senza madre in ospedale, e resta a prendersi cura di lui. Ah, perché chiaramente lei non ha figli, e quindi vabbè, capito la situazione? da fiction di Rai1. Imbarazzante.

Poi c’è un vecchio professore prossimo alla pensione, che non ha più voglia di insegnare, e perde un po’ la testa. Tira i libri dalla finestra, fuma in classe (ke skandalo!1!!), ma ritrova una ex alunna, che fa l’infermiera e che scopre che il vecchio c’ha tipo na malattia, non si capisce bene, però gli sorride, e lui ritrova la voglia. Si svolge davvero così eh, prima pazzo, poi incontro, malattia, sorriso, w la vita. Mah.

Veniamo al nostro grande amico Riccardino Scamarcio, giovane professore di lettere, di quelli che adesso la cambio io la scuola italiana. Che cosa mancava in questo film fino ad ora? Una bella storia prof – ragazza problematica. Oooh ne sentivo il bisogno. Squallore allo stato puro. E la mamma morta, e i fidanzato la picchia, e la colletta per aiutarla, e il bacio, no no non si può. Non è possibile rappresentare la scuola, mettendoci sopra merda melodrammatica. Perché quello che viene fuori è questo, ovvero una visione dei “giovani” nella quale i giovani non si riconoscono.

Si tocca il fondo quindi con la storia del ragazzo romeno. Immancabile. Ragazzo che c’ha sta mezza situazione co una, fanno i filmini col cellulare, ma no i filmini filmini, filmini mentre parlano di quanto fa SKIFO KUESTO MONDO, KE MERDA I GENITORI!!1!! e li fanno col cellulare perché almeno il regista ci dimostra che non sa girare nemmeno la telecamera a mano. Conclusione, giuro va proprio così: il romeno vuole rubare la pistola al padre, parte un colpo, padre ferito allo stomaco, lo portano in ospedale a due all’ora parlando del rapporto padre figlio, scena dopo figliolo che ride il classe. Fine.

Prossima recensione: La Scuola,1995. Film perfetto. No sta merda.

Voto 3: segnato in blu se ti piace di più.
Unica perla del film, 10 secondi affidati a ER PATATA al colloquio coi genitori, migliori di tutto il resto del film.

Capitano Quint

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I più grandi di tutti

Paolo Virzì, Ita, 2012, 100 min.

Trama: Il batterista dei Pluto – gruppetto rock di metà anni ’90 semisconosciuto – riceve la telefonata di un certo Ludovico, il quale vuole girare un documentario sulla band, e ventila a Loris (questo il nome del batterista) la possibilità di un concertone con altri grossi nomi della musica: Litfiba, Afterhours…

Loris quasi non ci crede, sembra impossibile che questo ragazzo, molto facoltoso, consideri i Pluto imprescindibili e i più grandi di tutti, invece è tutto vero. Per cui, pur non vedendo gli altri membri da anni ormai, ma con in tasca un anticipo di diverse migliaia di euro, e causa anche un po’ di compassione suscitata dall’entusiasmo di Ludovico, paraplegico in seguito ad un incidente in moto, Loris accetta, sapendo che dovrà riunire il gruppo e ricominciare a suonare dopo troppi anni di inattività.

Il Film: Paolino lo sapevi che prima o poi toccava anche a te. Per quanto mi riguarda di Virzì ne salvo due: Ovosodo e La prima cosa bella, film diversi in tutto, tranne che in quello che più mi piace di Virzì e che considero l’unico suo talento (se si esclude la su moglie): la capacità di raccontare la strada, la vita dei rioni e in generale del proletariato urbano in maniera sempre onesta e sincera, oltre che assolutamente verosimile (anche se un po’ troppo agrodolce). Anche in questo film si respira un po’ di quell’aria. I Pluto è un gruppo di Rosignano Solvay, periferia abbastanza deprimente, e nel suo periodo d’oro si esibiva in locali squallidi con tre gatti ad ascoltare o sui tetti delle fabbriche davanti agli operai in sciopero; uno dei membri oggi fa l’operaio a rischio cassa integrazione, ciononostante Loris lo invidia perché la sua vita è ancora più precaria. Marco Cocci fa il barista sbronzo una volta sì e l’altra pure, e Claudia Pandolfi la casalinga disperata, sfuggita a un passato di tossicodipendenza e alcol grazie alle cure del marito Ale (di Ale&Franz). Ecco, secondo me approfondire un attimino di più su quest’aspetto, sul come se la passano quelli che non ce l’hanno fatta non guastava, e avrebbe arricchito il film, che – escluso questa vena verista – non ha nient’altro da dare. Cento minuti in cui sembra debba succedere qualcosa, ma che alla fine non succede niente, se non le solite cose che uno si aspetta MEGA SPOILERATA NON LEGGETE SE NON VOLETE SAPERE COME FINISCE, come la riconciliazione della band dai vecchi dissapori, il mitico concertone, che non è altro che una montatura organizzata dallo stesso Ludovico a insaputa dei Pluto (anche se poi Loris, alias il Dandi di Romanzo Criminale lo scopre), con attori pagati per fare il pubblico urlante sotto il palco, e il vero motivo dell’interesse di Ludovico per il gruppo: ricordare la memoria della sua ragazza, morta nell’incidente in cui lui è rimasto paralizzato, mentre andavano a vedere un loro concerto.

Voto: 5. La sufficienza non glie la do. Anche se l’idea era bellina, è stato sviluppato tutto male, i personaggi hanno lo spessore di un foglio di carta, e la recitazione un po’ così così: un Marco Bocci a suo agio (forse perché tempo addietro faceva parte di un gruppo vero) fa da contraltare una Pandolfi sempre inqualificabile. Punto di demerito anche per qualche battuta in livornese (tipo il budello di to’ma e simili) che mi sembrano gratuite e messe lì solo perché il pubblico italiano si aspetta che a Livorno non si dica altro. Come se noi a Firenze si fosse sempre a dire maremma buhaiola – frase utilizzata forse due volte due nella mia vita. Menzione speciale, invece, a un graditissimo ritorno sullo schermo dell’attore che interpreta Mirko (l’amico di Piero Mansani) in Ovosodo, e per me sarà sempre e solo Mirko, e alla canzone dei Pluto, che se la gioca alla grande con qualsiasi pezzo di Vasco.

Vitellozzo.

 

Mirko vive

 

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Battle Royale

Kinji Fukasaku, 2000, Jap.

504BATTLE_ROYALETrama: Per educare i giovani, e tentare di raddrizzare la società, viene indetta annualmente la Battle Royale. Una classe di una scuola superiore sorteggiata a caso viene portata su un isola, dove i ragazzi dovranno uccidersi con il solo scopo di non essere uccisi. E’ ammesso un solo vincitore.

Il Film: Tratto da un romanzo, e da un manga (per il quale non ho il minimo interesse) il film è fortemente consigliato.
In un periodo in cui mi sto lentamente avvicinando al cinema giapponese/orientale (si accettano consigli), questa pellicola arriva prepotente tra le più interessanti che abbia visto.

Immaginatevi questa trama in un film italiano, dove dei ragazzi del liceo si devono uccidere nei modi più violenti per sopravvivere.  La gara sarebbe a chi riesce ad uccidere per primo il Muccino, o il Vaporidis di turno, ma la realtà è che semplicemente un film del genere sarebbe inconcepibile per l’associazione genitori, l’associazione genitori cattolici, l’associazione genitori cinepanettoni, etc.

Comunque, chi se ne frega, il film esiste, ed è bellissimo così, perché mostra esattamente le dinamiche di gruppo, la lotta per la sopravvivenza, le paure, e le perversioni dei giovani ragazzi.
Questi sono costretti dal classico collare pronto ad esplodere, e a disposizione hanno solo un sacco contenente viveri, una mappa, ed un’arma/oggetto a caso. Può essere una balestra, una pistola, ma anche una torcia, o un binocolo.
A non essere casuale è invece la capacità dei ragazzi di adattarsi quasi immediatamente alla situazione. Si formano i primi gruppi, si distinguono i più violenti, i più deboli, le fiche stronze, il pazzo solitario, gli innamorati, i repressi. Tutti contro tutti.

Il cinema giapponese si mostra ancora una volta in tutta la sua perversione carnale, nelle torture, nel sesso, nell’umiliazione. E’ tutto portato ai limiti estremi per dei ragazzi delle superiori. Una splendida visione di un regime fatto di violenza ed educazione. Film che fanno riflettere, come L’Onda, e The Experiment, con in più una sadicità che è costata al film svariate censure.
Trovo veramente un solo difetto, che noto in tanti film giapponesi, la recitazione degli attori. Capisco che in questo caso sono ragazzi, ma nsomma diciamo che quelle espressioni esasperate tipo lacrimoni, o grasse risate, proprio riprese dai manga, mi fanno un po’ caare. Per tutto il resto film incredibile.

Voto 7+: Per gli appassionati di Hunger Games, ecco da dove il vostro film del cazzo ha copiato. Inchinatevi e chiedete scusa.

Capitano Quint

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Pat Garrett e Billy the Kid

Sam Peckinpah, Usa, 1973, 108 min.

Trama: Pat Garrett riesce ad arrestare il suo vecchio compagno Billy the Kid. Il buon Billy però è furbo, a morire non ci tiene, e scappa di nuovo. Ne nasce un inseguimento molto bello, che attraversa tutto il Texas, e si lascia dietro una scia di sangue, la musica di Bob Dylan, Bob Dylan, e il crepuscolo del genere western.

Il Film: Siamo di fronte forse all’ultimo western coi controcoglioni, decisamente sopra la media, decisamente tra i miei preferiti. La critica come al solito non capisce nulla,  all’epoca lo distrusse, e il fatto che la produzione ne avesse tagliato un pezzetto rispetto all’originale, addolcisce solo un po’ il giudizio sull’incompetenza di chi ufficialmente tratta di cinema. Nel 1973 i migliori western sono già usciti tutti, penso sia superfluo dire anche di chi stiamo parlando (anche se i successivi Wild Wild West con Will Smith e il Mio West di Veronesi vanno comunque citati), sulla frontiera si è detto tutto, visto tutto, i cadaveri dei morti nei film non si contano più da quanto sono numerosi. I western hanno anche contribuito a rendere celebri attori di tutto rispetto, molti dei quali hanno poi fatto un carrierone, oltre a personaggi della storia di quel periodo realmente esistiti, primi tra tutti i capi indiani, e qualche fuorilegge ribelle, che senza gli western sarebbero nel dimenticatoio. Come Billy the Kid e Pat Garrett, che prima da amici fraterni lottano insieme contro i proprietari terrieri che vogliono colonizzare le terre selvagge, e poi antagonisti, su fronti opposti: l’uno inseguito, sognatore, libero, l’altro inseguitore, oramai vecchio e disilluso, legato al cappio della legge con una stelletta da sceriffo. In questo, il finale del film è fedele al finale della storia: James Coburn/Garrett insegue e uccide Billy the Kid. La differenza è solo il come. Lo sceriffo bracca l’(ex)amico muovendosi sulla terra sconfinata del profondo Sud, a cavallo (del passato) e via via che macina chilometri, così macina vittime, tutti quelli che appartenevano alla banda di Billy, e gli sono fedeli. Anche Billy si sposta, si rende conto che la fine è vicina, prova allora a partire per il Messico, cercare di salvarsi la vita, ma non ci riesce: il legame con la sua terra è troppo forte, e quando un suo amico messicano viene fatto fuori dagli uomini di un latifondista, torna indietro, condannandosi alla morte. Morte che però rivela comunque il forte legame tra i due, quando Pat evita a chiunque di infierire sul corpo dell’amico, e lo difende, vegliandolo fino all’alba, per poi ripartire. Belle le scene – i paesaggi del Texas e quelle zone lì mi piacerebbe un giorno andarle a vedere – belli i dialoghi, molto cazzuti come deve essere, e stupenda la colonna sonora di Bob Dylan (spicca Knockin’ on Heaven’s door), il quale ha una parte nel film non da poco e che anche se allora era giovane giovane, sapeva già fare il suo mestiere. Attorno ai due protagonisti poi, come detto, si muove tutta una serie di personaggi leggende del western di quegli anni, elemento in più per considerare questa pellicola come l’ultimo tributo a questo genere, che sì, lo guardava i’mi nonno, ma era tanta roba.

Voto: 7+. Tette messicane, sangue anni ‘70, e tanto whisky.

Vitellozzo.

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L’Enigma di Kaspar Hauser

Werner Herzog, 1974, Ger

Kaspar_Hauser-COVERTrama: Tratto da una storia vera. Germania, 1828. Un giovane cresciuto in cattività, viene abbandonato in una piazza di una città. Non si sa chi sia, non parla, e si muove a mala pena. E’ un film di Herzog. La trama è l’ultima cosa che conta probabilmente.

Il Film: WERNER HERZOG. Solo amore. Non succede niente per tutto il film, ma succede tutto. Lentamente, implacabilmente. Non è la società così detta civile a scoprire ed educare un disgraziato, ma è lui che senza difese scopre la falsità e la crudeltà di essa.
Cosa sono le parole, cosa sono le distanze, cos’è la religione, cos’è la società, chi è Kaspar Hauser, e qual è la sua storia. Tutte domande che alla fine della visione ti turbano per giorni.
Come ti turbano alcune scene agghiaccianti, una su tutte quella del circo, che deve aver sicuramente ispirato l’Elephant Man di Lynch. Un’angoscia che stringe lo stomaco.
Bisogna solo lasciarsi raccontare questa storia che non ha inizio, ed ha una tragica fine. Herzog la racconta nel modo migliore, attraverso delle immagini incredibile, attraverso una fotografia spaventosa, riducendo i dialoghi all’essenziale e facendo di essi dei momenti critici nella crescita di Kaspar.
Basti pensare all’indovinello sulla verità e la bugia, al dialogo con i pastori che lo vogliono convertire, alla mancata concezione di spazio di Kaspar, tutte cose spiegate dallo stesso uomo con una logica primitiva ed istintiva, priva di ragionamento, a volte imbarazzante per quanto sbagliata a volte così diretta da essere troppo semplice ed anche troppo giusta.

Ovviamente per un film del genere Werner non poteva scegliere un attore qualsiasi, e richiama, dopo averlo fatto esordire anni prima, Bruno S, per il quale affido la biografia a wikipedia: “Figlio illegittimo di una prostituta, maltrattato da bambino, ha trascorso gran parte della sua infanzia tra orfanotrofi, istituti di correzione e carceri. Ottimo pittore e musicista autodidatta”. Sembra nato per questo ruolo. Una bravura e un realismo impressionanti.

La bellezza del film sta in questa descrizione della realtà quotidiana di un uomo che scopre il mondo, nella splendida ricostruzione dei luoghi e dei costumi dell’ottocento, nella capacità di Herzog di angosciarti, e poi farti sognare insieme al protagonista. I sogni di Kaspar sono momenti mistici, un paesaggio sfocato, uomini che in massa salgono collina avvolta nella nebbia, sembrano anche vestiti con abiti del secolo successivo.
Il sogno della carovana nel deserto è pura poesia, pura abilità di visione di uno regista fuori dal comune, che dopo averti fatto sognare, ti riporta con i piedi per terra, pesantemente, brutalmente, con l’autopsia del corpo di Kaspar.

Voto: 8. Ma anche solo per l’apertura del film. Un campo di grano frustato in ogni direzione dal vento, una musica incalzante, l’inquadratura ferma, ed una scritta in tedesco in basso:
“Non sentite dunque questo urlo terribile, che chiamano silenzio?”
Herzog, solo amore.

Capitano Quint

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Alpha Dog

Nick Cassavetes, Usa, 2006, 113 min.

Trama: Un gruppo di stronzetti gestisce un traffichino di marihuana in California. Quando il loro capo si trova a discutere con uno scagnozzo molto cazzuto per dei soldi non restituiti, scattano rissa e rispettive minacce di morte “io t’ammazzo, ti spacco la faccia, sei morto ecc..”. Il capo non ci sta e dopo l’ennesimo affronto subito pensa bene di rapire il fratello minore di chi lo ha offeso e farsi restituire i soldi. Alla fine si rivela  un po’ un’idea del cazzo.

Il Film: Storia vera (dice). Ecco, se fosse vera vera – ma anche solo un 30% basterebbe – per l’ennesima volta l’America si conferma un paese troppo avanti, dove anche i criminali se la spassano come Dio comanda. Qui da noi passano metà della vita in bunker sotterranei profondi come le miniere di Moria,  a mangiare scatolette davanti a una televisione, una metà di loro muore prima di vivere l’altra metà che resta, l’altra metà di loro passano la metà che resta in carcere duro. In America no. Sì lo so, c’è il problemino della pena di morte, però fino a che non si presenta se la spassano: ville immense con piscina, festini con alcol e ragazze simpatiche semisvestite (sempre troppo poco), come Olivia Wilde o Amanda Seyfried (vedi anche In Time) o Amber Heard (vedi anche Never Back Down) e c’è pure Sharon Stone, che fa sempre la sua figura di m….ilf, il che ricompensa la rottura di dover uccidere qualcuno ogni tanto e rischiare di finire dentro. Accanto a queste note positive ce né anche qualcuna negativa, poche a dire la verità, come la presenza di Justin Timberlake nella parte di Justin Timberlake, tutto piacione con la villettina, pieno così di figa (il che non si discosta poi molto dalla sua vita reale, maledetto te), o anche di Bruce Willis, o meglio del suo parrucchino (mi fa sempre senso vedergli improbabili parrucchini in testa, cosa ci voleva a lasciarlo calvo?). Il protagonista della storia è Emile Hirsch, già visto in diverse pellicole , tra cui La ragazza della porta accanto, ma anche film più profondi come Into the Wild. Non credo ci sia altro da dire sul film, è un normalissimo film senza infamia e senza gloria, né su questo ragazzo, che migliora sempre, ma ha una delle barbe più brutte del cinema.

Voto: 6/7. Cosa succede al ragazzo rapito? Quello che succede in ogni rapimento: un treesome spaziale in piscina di notte. Poi muore. Però è irrilevante, dopo un treesome così è quasi normale.

Vitellozzo.

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Harry Potter. Tutti. TUTTI

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mmmamma mia gomme sdo!

Trama: Harry e sta magia di qua, Harry e sto segreto di là.

Il Film: Visti tutti e sette, uno alla settimana. Non mi si può negare di averci provato. Ce ne fosse stato uno meglio di un altro li saprei almeno distinguere ora. Invece no, tutti uguali, sempre lo stesso svolgimento, sempre nomi finto latini a caso simili tra loro, Severus, Silente, Sirius, un trionfo inutile di effetti digitali.

Non impressiona quando dovrebbe, non fa sorridere nelle gag, cattivi che non fanno paura, mai mezza coscia secca di Emma Watson, magie che si ripetono per mancanza di originalità, e soprattutto una volta c’era una sola regola insegnata da GhostBusters: MAI INCROCIARE I FLUSSI. E invece ore e ore a spararsi contro raggi laser con le bacchette. Ma vaia vaia.
SETTE FILM per arrivare a: “Harry deve morire perché il cattivo è dentro di sé. Deve morire, oddio no deve morire! E invece non more. Tutti felici e contenti. Mi sono perso qualcosa io? Rifletto.

Ma io lo so di chi è la colpa. Di quella videocassetta che ho consumato da piccolo: Hook-Capitano Uncino. La sola ed unica magia che sia mai riuscita ad emozionarmi è quella del banchetto con il cibo immaginato che termina in un’esplosione di colori. Ce l’hai fatta Peter. Non ce l’hai fatta Harry.
Quindi leggete tutti i libri del maghetto che volete, ma se si tratta di film, bimbi, guardate altro: mai sentito parlare del tesoro di Willy l’Orbo?

Voto: 4,5. Come dice il finale di American History X, sempre bene chiudere con una citazione, c’è sempre qualcuno che ha detto qualcosa meglio di te.
E nessuno potrà mai commentare il film meglio di LUI, in questo video:

Capitano Quint

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Diciottanni – Il Mondo ai miei piedi

Elisabetta Rocchetti, Ita, 2011, 84 min.

Trama: C’è questo pischello che, con la scusa di essere orfano e avere come zio tutore G-Max dei Flaminio Mafia, fa il tenebroso e si scopa tutte le comparse femminili del film, senza restrizioni d’età, dai sedici ai sessanta, come i giochi da tavolo.

Il Film: è il più trash che ho visto quest’anno, e sinceramente non credo si possa fare di meglio. E’ anche bellissimo.  I motivi:

1)       Per la visione innovativa di come può essere un percorso di crescita di un ragazzo dall’adolescenza all’età adulta, che nel film si traduce una serie di scenette squallide da film erotico anni 80, le classiche scene di sesso con bacini e avvinghiamenti, dopo le quali il ragazzo non si sa come, ma ne esce maturato.  Come percorso di crescita non è male.

2)       Per la disperata situazione familiare di questo Ludovico, disgraziato colpito dalla scarogna più nera, non solo orfano, ma anche nipote del suddetto G-Max, il quale a sua volta è un mezzo delinquente, cocainomane (come anche la zia), e perciò ritenuto degno di fiducia nell’amministrare il patrimonio del nipote, lasciatogli dai genitori: c’ho piacere ti finisca tutto, te lo meriti, ‘cazzo ti vai a fidare di un parente così, coglione..

3)       Per lo splendido rapporto d’amicizia tra Ludovico e il suo migliore amico Luca, e qui non so chi dei due sia più allucinante, se Ludovico che, non pago di trombargli la mamma a questo povero ragazzo, fa doppietta e si porta a casa anche la fidanzata, per poi pentirsi una volta sgamato e chiedere perdono invocando il “sono una merda ma da domani sarò un uomo nuovo!”, o Luca, che non solo è consapevole del rapporto tra l’amico e la mamma, ma anzi sembra quasi incoraggiarlo via oh, gnamo, o trombami la mamma, fammelo questo piacere, per poi raggiungere l’apice nel momento del perdono, sancito con un abbraccio con finta lacrima tra i due. Qui l’unica cosa da fare era una: cioè, so che ti scopi la mi mamma, ti becco poi con la mia ragazza (post amplesso) e pretendi che ti perdoni? Ma io ti cao n’gola e ti finisco di legnate, mòri merda mòri.

4)       Per la professoressa di lettere, anche lei vittima del fascino irresistibile dello sbarbatello, che è presa direttamente da un film porno, tette in vista occhiali neri e rossetto, la classica prof che tutti abbiamo avuto, e alla classe, intesa proprio come luogo fisico, l’unica in Italia con le piastrelle bianche da bagno alle pareti.

5)       Per la regia da cani, inquadrature indegne, sembra di vedere una telenovela argentina, con quelle musichine imbarazzanti senza senso; regista che poi si sdoppia e decide anche di recitare la parte da coprotagonista di una ultratrentenne zoccola amante dello zio del ragazzo, il quale – all’oscuro di tutto (ma non del fatto che questa la regala) – se ne “innamora”.

6)       Per il finale, uno dei più belli della storia del cinema de borgata. In breve, Ludovico scopre che lo zio è un farabutto, che gli ha rubato i soldi e la zoccoletta, allora prende e lo caccia di casa, salvando però la zia, anche lei cornuta, anche lei personcina tranquilla e a modo (s’ammazza di strisce tutti i giorni). Passano i mesi, il ragazzo studia per l’esame di maturità – sullo schermo passa un montaggio stile “allenamento di Rocky III” e in cinque minuti Ludovico da incapace è diventato bravissimo fortissimo in tutte le materie. Ma G –Max non dimentica l’amore per il nipote e un giorno che lo trova da solo, gli si presenta con una pistola puntata alla nuca. Il pischelletto se spaventa, lo zio lo guida in casa per sequestrarlo e menarlo, forse ucciderlo non si sa, ma ecco l’apoteosi: gli amici di Ludovico gli hanno fatto una festa a sorpresa in salotto per l’ammissione all’esame, G-Max si spaventa, e ancora con la pistola in mano come un coglione, scappa, e se ne va. Il ragazzo si dimentica magicamente che fino a cinque minuti prima stava per morire,  E RIDE DELLA BELLA SOPRESA CON GLI AMICI.

Voto: 2. Esempio degradante che chiunque oggi in Italia può fare cinema, anche una capra, questo film regala comunque momenti esilaranti per la loro illogicità, che forse neanche le migliori commedie di Woody Allen riuscirebbero a fare. Quando uno pensa che non si possa fare peggio, la scena successiva smentisce tutto, fino al finale, che, purtroppo, a arrivato troppo presto.

Vitellozzo.

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The Departed

Martin Scorsese, 2006, Usa

imagesTrama: Jack Nicholson è il boss mafioso di Boston. Matt Damon il suo infiltrato nella polizia. Di Caprio l’infiltrato della polizia nella sua banda. “C’è puzza di talpa”.

Il Film: finalmente Martin Scorsese raggiunge l’oscar per la miglior regia, con un film un po’ tamarro, molto americano, sicuramente inferiore a diversi suoi film, ma non per questo meno bello e gradevole. La sua solita bomba su italiani vs irlandesi vs americani. Sempre il numero 1 in questo.
Amare Scorsese è obbligatorio, è un comandamento, un uomo a cui voglio bene, perché mi fa sempre divertire, mi fa sempre emozionare, e mi sorprende sempre.
Le sparatorie in sequenza negli ultimi 20minuti di questo film ne sono un esempio. Senza tregua, una dopo l’altra, tutti contro tutti. Uno spettacolo di montaggio e regia. Uno spettacolo di regista.

Capitolo Leonardo Di Caprio, ormai pupillo di Scorsese, che prova a farmelo piacere in ogni suo ultimo film, senza quasi mai riuscirci. Qui è fastidioso come sempre, esagerato, sopra le righe, ma funziona grazie al dualismo con Matt Damon, i due fanno un po’ a gara di recitazione senza che nessuno vinca. Vincono i personaggi, funzionano insieme e basta. Direi Leo meglio del noioso The Aviator, e anche del suo fastidioso personaggio in Gangs of NY. Riuscirai mai a starmi simpatico? Non penso, accontentati di Shutter Island, e anche di questo dai.

Nota di merito per un grandissimo cast di supporto, al di là del terzo incomodo nella coppia Leo-Damon, Mark Wahlberg. Si distinguono Martin Sheen, ed un immenso Alec Baldwin che mi fa sempre ridere, Vera Farmiga brava e bella, e c’è spazio anche per David O’Hara che tutti ricorderete in BraveHeart per “è la mia isola!” Irlandese fondamentale anche qui.
(Devo commentare la prestazione di Jack Nicholson? È necessario?)

In conclusione, miglior film, miglior regia, miglior montaggio, e miglior sceneggiatura non originale. Sosteniamo sempre che gli oscar non valgano molto, ma ogni tanto ammettiamo che sono davvero meritati.
Onora il padre, la madre, e Scorsese. Non necessariamente in questo ordine.

Voto: 7.5 Jack dopo che Leo gli fa notare che è abbastanza ricco e vecchio da poter smettere:
I soldi non mi sono più serviti da quando ho rubato ad Archie i soldi della merenda in terza elementare. A dire la verità nemmeno la fica mi serve più. Però mi piace.”

Capitano Quint


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Sucker Punch

Zack Snyder,  2011, Usa/Can, 105 min.

Trama: Baby Doll è ingiustamente accusata della morte della sorella, in realtà uccisa dal patrigno, grasso e crudele. Essendo l’unica erede del patrimonio della madre, viene rinchiusa da quest’ultimo in un manicomio. La ragazza immagina di scappare, aiutata da altre detenute. Il manicomio si trasforma così in un bordello, dove le ragazze ballano davanti ai clienti per farsi scegliere, e Baby Doll vede la sua libertà attraverso il superamento di nemici e mostri di varia natura, con l’utilizzo di armi supertecnologiche, katane, e gonnelline da manga giapponesi, il tutto in un tripudio di pixel e esagerazioni grafiche. Cinema targato Zack Snyder.

Il Film: Zack Snyder si conferma sempre il re indiscusso dei film esagerati, in tutti i sensi. Se da un lato è d’obbligo fare un plauso al regista per la storia – bisogna essere dei malati di mente e geniali allo stesso tempo per immaginare nazisti mutanti che combattono con armi aliene, draghi contro B-52, mostri giganti e pagode  giapponesi che crollano – dall’altro bisogna anche dire che si compiace troppo, finendo per caricare eccessivamente ogni scena di colori, musiche, effetti speciali che rendono tutto quasi stucchevole. In un ora e mezzo scarsa di film riesce a condensare tutto quello che i manga hanno di meglio da offrire, e cioè le lolita fighe in gonnella (che nel film scoppiano tutte di salute, tra cui anche Vanessa Hudgens, fresca di Spring Breakers), le katane, e cattivi in quantità da sterminare, con aggiunta di vagonate di  effettoni in slow-motion ad ogni scontro (come in 300) e scenografie barocche (come in Watchmen), per una visione di insieme che vuole essere epica, ma che alla fine risulta solo eccessiva.

Se volessi essere più cattivo, mi spingerei oltre e direi anche che film come questo sono la morte del cinema, proprio perché non c’è più cinema: tutto fatto a computer, anche gli ambienti, ti basta una stanza di posa, ti piazzi lì e fanno tutto i programmatori dall’altra parte del monitor. Nessun costume, nessuna scenografia reale, un copione striminzito, per una recitazione che chiaramente – viste le premesse – è messa in secondo piano per lasciare spazio agli occhi. Ora, non voglio passare per quello avverso alla tecnologia nel cinema (sono contrario fino alla morte solo al 3d e a Hugh Jackman), a volte ci sta anche bene, e non guasta rifarsi gli occhi con qualche visione fantastica da PC. Però in Sucker Punch siamo all’estremo, perfino l’impronta decisamente onirica della storia alla fine finisce per risentirne, sopraffatta anch’essa dalla pesantezza delle immagini.

Voto: 6+. La sufficienza se la prende comunque, gioco forza l’originalità della storia e le bimbe in gonnella. Però devo anche dirvi che a tratti, nonostante il dinamismo tra nemici, musiche e colori, il film è anche un po’ noioso. Gli effetti speciali non sempre fanno miracoli.

Vitellozzo.

 

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Spring Breakers

Harmony Korine, 2012, Usa

lCEA5QAVrUotUz82ifkSNdrgrpOTrama: culi, pistole, e coca. E culi.
Altrimenti anche film che mostra il vuoto dell’adolescenza, esasperato dalla vacanza di 4 ragazze che.. etc etc. Culi.

Il Film: 4 ragazzine bravissime, ma brave, brave, brave, brave eh! La moglie del regista, poi Ashley Benson (BENE!), e due sconosciute che leggo essere uscite da Disney Channel, e ora fanno i miliardi come “cantanti”: Vanessa Hudgens, e Selena Gomez, che, messe in queste vesti (le poche vesti delle zoccole americane), fanno la loro bella figura.
Nel cast anche James Franco, forse nel miglior ruolo della sua vita, il finto gangsta spaccio, spacco, sparo, trombo solo io, e muoio.

Il film di Korine è molto di più. Cioè, i culi e le tette hanno un ruolo fondamentale, e si fa fatica a notare altro, ma il regista di Gummo, e sceneggiatore di Ken Park, mette al centro anche qui una riflessione su l’adolescenza americana e la sua idiozia. Riflessione che non mi convince mai fino in fondo, o meglio, è molto esplicita (le lacrime e le risate si alternano molto velocemente per le bimbe), ma è un po’ fine a se stessa. Si sa già.
Prima il “fanculo la scuola” e poi alla fine il “sarò una ragazza migliore”. Vabè dai, sei na zoccoletta. Pensa come stiamo messi noi in Italia, che lo Spring Break ce lo sogniamo e ci illudiamo che un tavolo in un locale di Gallipoli sia il top del top con la lista top e la bottiglia top. Là tutti nudi, e qua solo camicia bianca e mocassini. Se c’è da fare una riflessione sugli adolescenti, inizierei da chi sta peggio (vedi I Ragazzi Della Notte)

Comunque il film riserva molti momenti veramente ben fatti: la rapina inquadrata dalla macchina che aspetta fuori, le luci e i costumini fluo, le musiche sempre azzeccate (anche Cliff Martinez, lo stesso di Drive), le ragazze che cantano Britney Spears con i fucili e i passamontagna. Scene costruite sempre bene.
Finale troppo esagerato, con una sparatoria non necessaria, ma quel pontile rosa, con loro che camminano inquadrate da dietro, è notevole.
Ah, orrenda la traduzione del titolo in italiano: Una Vacanza Da Sballo. Come sempre, buttiamola sul ridicolo se è un film drammatico.

Voto 6/7: Ok, posso smettere di fare il serio? C’E’ STE 4 CAGNE IN COSTUME PER TUTTO IL FILM CHE FANNO LE CAGNE. VA BENE?

Hi, I’m Vanessa Hudgens, and you’re watching Disney Channel!

 

Capitano Quint

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I ragazzi della notte

Jerry Calà, Ita, 1995, 96 min.

Trama: Con un tentativo più che maldestro Jerry Calà si mette in cabina di regia e prova a farci vedere come se la spassano i ragazzi il sabato sera. Oh Jerry, gnamo, fai la parte del milanese piacione e limitati a quello, che mi piaci sempre, ma non ti spingere oltre, risparmiaci. Capitttooo??

Il Film: Per l’angolo del trash. In queste calde nottate estive mi piace vedere film giovani sui ragazzi giovani che vivono la notte. Se poi questa è anche un occasione per riscoprire grandi personaggi dello spettacolo, spariti oggi – non si sa perché – dagli schermi televisivi, tanto meglio. Questo film è la sintesi perfetta delle due cose: da un lato ci permette di dare uno sguardo alle notti della disco, e dall’altro di sfottere senza troppi rimorsi la recitazione più che penosa di gente più che penosa, famosa per programmi più che penosi. L’occhio poi, che ci dovrebbe mostrare come se la spassa il popolo della notte, è quello di uno che adulto non è mai diventato, neanche ora a sessant’anni suonati: Jerry Calà, che nel film interpreta la parte di se stesso, andato a ritirare un premio in una delle discoteche dove si svolge tutta la storia. Parlare di storia è abbastanza imbarazzante, visto che sono scenette ingenue legate una all’altra solo per il fatto che riguardano i ggiovani e si svolgono suppergiù nello stesso posto, sulle rive del lago di Garda, famosissimo luogo per il divertimento giovanile, estigazzi. Oltre ai temi affrontati (e soprattutto al modo in cui viene fatto), altro elemento di indiscussa eleganza è il come alcuni di questi vengono presentati, attraverso cioè le telecamere di una televisione venuta lì proprio per intervistare i ragazzi e scoprire il loro mondo, una specie di Lucignolo. Mondo dove il buon Jerry senza buongusto ci butta dentro tutto, della serie meglio abbondare, senza un minimo di logica, o comunque con una logica che ti fa cascare veramente le palle: scena 1 – i due classici figli di papà  sono in macchina e decidono di fermarsi a fare scorta di alcolici da mettere in un borsone che poi si porteranno dietro nel locale (comodissimo), scena 2 – alcuni ragazzi (sempre di notte) vanno all’ospedale a trovare una loro amica teen, in coma a causa di un incidente con la macchina, con genitori allegati,  piangenti al capezzale della figlia. Cioè, cosa ci vuoi dire? Che se uno beve e guida poi fa un incidente e va in coma? Il prima e il dopo? Voglio dire, sarebbe anche un principio condivisibile (sempre con le dovute correzioni) però raccontato in questo modo (e con questi tempi del film) è da denuncia. Ma mettiamo anche che Jerry sulla macchina da presa si riscopra non dico un genio, ma almeno capace, mettiamo che abbia avuto (cosa che non è successa) un aiuto regista che non fosse un cane e sia riuscito a girare scene almeno con un senso; ecco, sarebbe comunque tutto rovinato (o impreziosito, a seconda dei punti di vista) dalla creme dei nostri migliori talenti recitativi, vanto della nazione. In ordine sparso: una giovane e molto manza Francesca Rettondini che stetteggia nella discoteca, una piacevolissima – solo da vedere – Alessia Merz, sparita dai radar mondiali per il bene del cinema, un elegante Fabio Testi che fa la parte che avrebbe dovuto fare De Sica se avessero avuto i soldi per ingaggiarlo, e cioè quella del padre di famiglia farfallone e con l’amante. I più bravi di tutti li lascio però alla fine: Walter Nudo, che regala i 10 minuti più belli del film grazie a una recitazione indegna persino per lui,  Valerione Staffelli, nella parte del milanese arrogante coi soldi e le fighe “welà cazzo ffai, portami il grano dai” che fa sempre tanta simpatia, e una giovanissima (e sempre odiosissima) Victoria Cabello, non la sopporto proprio lei. Menzione speciale anche al poster di David Hasseloff in camera della Merz. Generazioni a confronto: ora gli One Direction, prima Mitch Beucannon, chi ha perso?

Voto:  3. Era una sufficienza piena, poi verso la fine mi è sembrato di vedere uno che odio più di tutti a fare una comparsata, e allora no. Va bene Walter Nudo, passi anche Victoria Cabello, ma Povia no cazzo.

Vitellozzo.

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Un Tranquillo Weekend Di Paura

John Boorman, 1972, Usa

Un tranquillo weekend di pauraDeliverance-by-Bill-Gold

Trama: Una gita in canoa, un posto sperduto in mezzo alla natura, e la violenza dei bifolchi del sud degli stati uniti. Uno stupro, un cadavere da nascondere, le rapide del fiume, sono troppo per i 4 uomini venuti dalla città in un territorio che non gli appartiene.

Il Film: Cult. Uno dei tipici filmoni anni ’70. Burt Reynolds e Jon Voight protagonisti. Anche se la vera protagonista forse è la natura, quel fiume, quella gola rocciosa, un posto incredibile, 

bellissimo da attraversare, ma dove non vorresti essere costretto a fermarti.

All’inizio viene spiegato come quella zona stia per essere sommersa da un lago artificiale, l’inizio della costruzione della diga è ormai vicino, l’uomo ancora una volta sta per distruggere la natura. I 4 hanno quindi l’occasione di visitare un posto che non sarà mai più visibile. 
Ma non sono soli in zona. Ci sono i nativi, i red neck, quegli americani del sud, visti in tanti film, che mettono paura per quanto sono “brutti, sporchi, e cattivi”. Stupendo e inquietante è infatti il ragazzino con il banjo nella baracca della stazione di rifornimento. Evidentemente autistico, lascia intuire, come in quelle comunità l’incesto sia pratica comune.
Dal suo banjo, incrociato con la chitarra di uno dei quattro, esce la famosissima melodia che accompagna tutto il film, incredibilmente senza rompere i coglioni 


La svolta del film arriva quando meno te lo aspetti, il clima è rilassato, gli amici si divertono, Burt fa un po’ il bullo come sempre, due di loro si allontanano, e rimangono vittime dell’aggressione di due cacciatori locali. Lo stupro del ciccione è, senza mai inquadrarlo direttamente, violento per come sembra essere solo un gioco per i due bifolchi. Da lontano, l’arco di Burt, salva Jon Voight, uccidendone uno e mettendo in fuga l’altro.
(perché come può rompere i coglioni il banjo non ce n’è), una colonna sonora “campagnola” che mette i brividi.

Da qui il film sale di colpi, di tensione, la questione morale su cosa fare del corpo, la fuga, il sentirsi sempre braccati, le rapide del fiume che aumentano, quella cazzo di melodia di sottofondo. Insomma ne viene fuori un gran film. Il tranquillo uomo di città Jon Voight dovrà mettere da parte tutta l’etica ed il buonsenso per fronteggiare ad una situazione drammatica. Ancora una volta, l’uomo è solo davanti alla natura.

Voto 7/8: Note di merito ad alcune scene di grande realismo, come il corpo di uno di loro frantumato dalle rapide, e per le locandine del film, quella americana e quella italiana, che sono splendide. Sul titolo italiano ancora non mi sono deciso, è diventato un cult a sé, ma forse dà un po’ troppo l’idea di un film horror, e non è così.
Deliverance, quello originale. Salvataggio, soccorso, ma anche liberazione spirituale. Da un segreto con il quale i sopravvissuti dovranno convivere, finché la verità non verrà a galla. Gran film.

Capitano Quint

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World War Z

Marc Forster, Usa, 2013

World_War_Z_posterTrama: Dal nulla spuntano zombie infetti. Non è dato sapere perché e come. Mandiamo a giro per il mondo Brad Pitt a salvarci.

Il Film: classica merdata americana. Ma si tocca dei punti di trash a stelle e strisce che da tempo non vedevo.
La storia fa acqua da tutte le parti, non si capisce un cazzo di come nasca l’infezione.
La regia è di un cane che non sa tenere la macchina ferma per più di due secondi, tranne quando c’è la bandiera che sventola. Ma comunque, veniamo ai momenti chiave:

-Brad trova rifugio in casa di una famiglia messicana. I due adulti non parlano inglese. Il bambino sì. Chi si salva dei tre? Solo il bambino, gli altri stupidi messicani che non parlano l’americano non sono degni di vivere. Morte ai clandestini messicani che non vogliono imparare la lingua.

– Brad fa tre viaggi: Corea del Sud, Israele, e Gran Bretagna. Tre nazioni a caso. Tre nazioni alleate USA. Proprio a caso eh.

-In Israele, sapevano già tutto, perché sono bravi. E avevano costruito già dei muri enormi per ripararsi dagli zombi. E visto che sono così buoni fanno entrare anche i palestinesi. Ma che bravi, che generosità.

– Peccato che quei cattivoni stupidi palestinesi si mettono a cantare di gioia attirando gli zombi. I soldati israeliani si trovano quindi costretti a sparare a caso sulla folla. Cosa che non avrebbero mai fatto eh! Hanno iniziato gli altri! Vi costruiamo i muri a casa vostra, e voi vi mettete a cantare? Non si fa. Morte ai palestinesi che minano la salvezza israelita.

– Best Moment: Brad trova la cura finale, deve scappare dagli zombie, ma prima… una bella e rinfrescante PEPSI in lattina. Bevi PEPSI. Solo con PEPSI puoi salvare il mondo. Anche Brad Pitt beve PEPSI. Bevi PEPSI responsabilmente. Si è visto il marchio?

– La cura finale: infettiamoci con il tifo e la sars così non ci mangiano. Idea del secolo. Che però salva tutto il mondo. Tranne un posto, dove la voce fuori campo ci dice che si continua a combattere: a Mosca! MALEDETTI COMUNISTI CHE NON ASCOLTATE GLI AMERICANI!! TENETEVI GLI ZOMBI!!

Voto: 3 Roba da pazzi. Razzismo e fascismo ovunque. Nel mezzo c’è anche Favino, ma che cazzo ci fai. Una porcheria immane.

Capitano Quint

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