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Battle Royale

Kinji Fukasaku, 2000, Jap.

504BATTLE_ROYALETrama: Per educare i giovani, e tentare di raddrizzare la società, viene indetta annualmente la Battle Royale. Una classe di una scuola superiore sorteggiata a caso viene portata su un isola, dove i ragazzi dovranno uccidersi con il solo scopo di non essere uccisi. E’ ammesso un solo vincitore.

Il Film: Tratto da un romanzo, e da un manga (per il quale non ho il minimo interesse) il film è fortemente consigliato.
In un periodo in cui mi sto lentamente avvicinando al cinema giapponese/orientale (si accettano consigli), questa pellicola arriva prepotente tra le più interessanti che abbia visto.

Immaginatevi questa trama in un film italiano, dove dei ragazzi del liceo si devono uccidere nei modi più violenti per sopravvivere.  La gara sarebbe a chi riesce ad uccidere per primo il Muccino, o il Vaporidis di turno, ma la realtà è che semplicemente un film del genere sarebbe inconcepibile per l’associazione genitori, l’associazione genitori cattolici, l’associazione genitori cinepanettoni, etc.

Comunque, chi se ne frega, il film esiste, ed è bellissimo così, perché mostra esattamente le dinamiche di gruppo, la lotta per la sopravvivenza, le paure, e le perversioni dei giovani ragazzi.
Questi sono costretti dal classico collare pronto ad esplodere, e a disposizione hanno solo un sacco contenente viveri, una mappa, ed un’arma/oggetto a caso. Può essere una balestra, una pistola, ma anche una torcia, o un binocolo.
A non essere casuale è invece la capacità dei ragazzi di adattarsi quasi immediatamente alla situazione. Si formano i primi gruppi, si distinguono i più violenti, i più deboli, le fiche stronze, il pazzo solitario, gli innamorati, i repressi. Tutti contro tutti.

Il cinema giapponese si mostra ancora una volta in tutta la sua perversione carnale, nelle torture, nel sesso, nell’umiliazione. E’ tutto portato ai limiti estremi per dei ragazzi delle superiori. Una splendida visione di un regime fatto di violenza ed educazione. Film che fanno riflettere, come L’Onda, e The Experiment, con in più una sadicità che è costata al film svariate censure.
Trovo veramente un solo difetto, che noto in tanti film giapponesi, la recitazione degli attori. Capisco che in questo caso sono ragazzi, ma nsomma diciamo che quelle espressioni esasperate tipo lacrimoni, o grasse risate, proprio riprese dai manga, mi fanno un po’ caare. Per tutto il resto film incredibile.

Voto 7+: Per gli appassionati di Hunger Games, ecco da dove il vostro film del cazzo ha copiato. Inchinatevi e chiedete scusa.

Capitano Quint

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Pat Garrett e Billy the Kid

Sam Peckinpah, Usa, 1973, 108 min.

Trama: Pat Garrett riesce ad arrestare il suo vecchio compagno Billy the Kid. Il buon Billy però è furbo, a morire non ci tiene, e scappa di nuovo. Ne nasce un inseguimento molto bello, che attraversa tutto il Texas, e si lascia dietro una scia di sangue, la musica di Bob Dylan, Bob Dylan, e il crepuscolo del genere western.

Il Film: Siamo di fronte forse all’ultimo western coi controcoglioni, decisamente sopra la media, decisamente tra i miei preferiti. La critica come al solito non capisce nulla,  all’epoca lo distrusse, e il fatto che la produzione ne avesse tagliato un pezzetto rispetto all’originale, addolcisce solo un po’ il giudizio sull’incompetenza di chi ufficialmente tratta di cinema. Nel 1973 i migliori western sono già usciti tutti, penso sia superfluo dire anche di chi stiamo parlando (anche se i successivi Wild Wild West con Will Smith e il Mio West di Veronesi vanno comunque citati), sulla frontiera si è detto tutto, visto tutto, i cadaveri dei morti nei film non si contano più da quanto sono numerosi. I western hanno anche contribuito a rendere celebri attori di tutto rispetto, molti dei quali hanno poi fatto un carrierone, oltre a personaggi della storia di quel periodo realmente esistiti, primi tra tutti i capi indiani, e qualche fuorilegge ribelle, che senza gli western sarebbero nel dimenticatoio. Come Billy the Kid e Pat Garrett, che prima da amici fraterni lottano insieme contro i proprietari terrieri che vogliono colonizzare le terre selvagge, e poi antagonisti, su fronti opposti: l’uno inseguito, sognatore, libero, l’altro inseguitore, oramai vecchio e disilluso, legato al cappio della legge con una stelletta da sceriffo. In questo, il finale del film è fedele al finale della storia: James Coburn/Garrett insegue e uccide Billy the Kid. La differenza è solo il come. Lo sceriffo bracca l’(ex)amico muovendosi sulla terra sconfinata del profondo Sud, a cavallo (del passato) e via via che macina chilometri, così macina vittime, tutti quelli che appartenevano alla banda di Billy, e gli sono fedeli. Anche Billy si sposta, si rende conto che la fine è vicina, prova allora a partire per il Messico, cercare di salvarsi la vita, ma non ci riesce: il legame con la sua terra è troppo forte, e quando un suo amico messicano viene fatto fuori dagli uomini di un latifondista, torna indietro, condannandosi alla morte. Morte che però rivela comunque il forte legame tra i due, quando Pat evita a chiunque di infierire sul corpo dell’amico, e lo difende, vegliandolo fino all’alba, per poi ripartire. Belle le scene – i paesaggi del Texas e quelle zone lì mi piacerebbe un giorno andarle a vedere – belli i dialoghi, molto cazzuti come deve essere, e stupenda la colonna sonora di Bob Dylan (spicca Knockin’ on Heaven’s door), il quale ha una parte nel film non da poco e che anche se allora era giovane giovane, sapeva già fare il suo mestiere. Attorno ai due protagonisti poi, come detto, si muove tutta una serie di personaggi leggende del western di quegli anni, elemento in più per considerare questa pellicola come l’ultimo tributo a questo genere, che sì, lo guardava i’mi nonno, ma era tanta roba.

Voto: 7+. Tette messicane, sangue anni ‘70, e tanto whisky.

Vitellozzo.

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Alpha Dog

Nick Cassavetes, Usa, 2006, 113 min.

Trama: Un gruppo di stronzetti gestisce un traffichino di marihuana in California. Quando il loro capo si trova a discutere con uno scagnozzo molto cazzuto per dei soldi non restituiti, scattano rissa e rispettive minacce di morte “io t’ammazzo, ti spacco la faccia, sei morto ecc..”. Il capo non ci sta e dopo l’ennesimo affronto subito pensa bene di rapire il fratello minore di chi lo ha offeso e farsi restituire i soldi. Alla fine si rivela  un po’ un’idea del cazzo.

Il Film: Storia vera (dice). Ecco, se fosse vera vera – ma anche solo un 30% basterebbe – per l’ennesima volta l’America si conferma un paese troppo avanti, dove anche i criminali se la spassano come Dio comanda. Qui da noi passano metà della vita in bunker sotterranei profondi come le miniere di Moria,  a mangiare scatolette davanti a una televisione, una metà di loro muore prima di vivere l’altra metà che resta, l’altra metà di loro passano la metà che resta in carcere duro. In America no. Sì lo so, c’è il problemino della pena di morte, però fino a che non si presenta se la spassano: ville immense con piscina, festini con alcol e ragazze simpatiche semisvestite (sempre troppo poco), come Olivia Wilde o Amanda Seyfried (vedi anche In Time) o Amber Heard (vedi anche Never Back Down) e c’è pure Sharon Stone, che fa sempre la sua figura di m….ilf, il che ricompensa la rottura di dover uccidere qualcuno ogni tanto e rischiare di finire dentro. Accanto a queste note positive ce né anche qualcuna negativa, poche a dire la verità, come la presenza di Justin Timberlake nella parte di Justin Timberlake, tutto piacione con la villettina, pieno così di figa (il che non si discosta poi molto dalla sua vita reale, maledetto te), o anche di Bruce Willis, o meglio del suo parrucchino (mi fa sempre senso vedergli improbabili parrucchini in testa, cosa ci voleva a lasciarlo calvo?). Il protagonista della storia è Emile Hirsch, già visto in diverse pellicole , tra cui La ragazza della porta accanto, ma anche film più profondi come Into the Wild. Non credo ci sia altro da dire sul film, è un normalissimo film senza infamia e senza gloria, né su questo ragazzo, che migliora sempre, ma ha una delle barbe più brutte del cinema.

Voto: 6/7. Cosa succede al ragazzo rapito? Quello che succede in ogni rapimento: un treesome spaziale in piscina di notte. Poi muore. Però è irrilevante, dopo un treesome così è quasi normale.

Vitellozzo.

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The Departed

Martin Scorsese, 2006, Usa

imagesTrama: Jack Nicholson è il boss mafioso di Boston. Matt Damon il suo infiltrato nella polizia. Di Caprio l’infiltrato della polizia nella sua banda. “C’è puzza di talpa”.

Il Film: finalmente Martin Scorsese raggiunge l’oscar per la miglior regia, con un film un po’ tamarro, molto americano, sicuramente inferiore a diversi suoi film, ma non per questo meno bello e gradevole. La sua solita bomba su italiani vs irlandesi vs americani. Sempre il numero 1 in questo.
Amare Scorsese è obbligatorio, è un comandamento, un uomo a cui voglio bene, perché mi fa sempre divertire, mi fa sempre emozionare, e mi sorprende sempre.
Le sparatorie in sequenza negli ultimi 20minuti di questo film ne sono un esempio. Senza tregua, una dopo l’altra, tutti contro tutti. Uno spettacolo di montaggio e regia. Uno spettacolo di regista.

Capitolo Leonardo Di Caprio, ormai pupillo di Scorsese, che prova a farmelo piacere in ogni suo ultimo film, senza quasi mai riuscirci. Qui è fastidioso come sempre, esagerato, sopra le righe, ma funziona grazie al dualismo con Matt Damon, i due fanno un po’ a gara di recitazione senza che nessuno vinca. Vincono i personaggi, funzionano insieme e basta. Direi Leo meglio del noioso The Aviator, e anche del suo fastidioso personaggio in Gangs of NY. Riuscirai mai a starmi simpatico? Non penso, accontentati di Shutter Island, e anche di questo dai.

Nota di merito per un grandissimo cast di supporto, al di là del terzo incomodo nella coppia Leo-Damon, Mark Wahlberg. Si distinguono Martin Sheen, ed un immenso Alec Baldwin che mi fa sempre ridere, Vera Farmiga brava e bella, e c’è spazio anche per David O’Hara che tutti ricorderete in BraveHeart per “è la mia isola!” Irlandese fondamentale anche qui.
(Devo commentare la prestazione di Jack Nicholson? È necessario?)

In conclusione, miglior film, miglior regia, miglior montaggio, e miglior sceneggiatura non originale. Sosteniamo sempre che gli oscar non valgano molto, ma ogni tanto ammettiamo che sono davvero meritati.
Onora il padre, la madre, e Scorsese. Non necessariamente in questo ordine.

Voto: 7.5 Jack dopo che Leo gli fa notare che è abbastanza ricco e vecchio da poter smettere:
I soldi non mi sono più serviti da quando ho rubato ad Archie i soldi della merenda in terza elementare. A dire la verità nemmeno la fica mi serve più. Però mi piace.”

Capitano Quint


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Sucker Punch

Zack Snyder,  2011, Usa/Can, 105 min.

Trama: Baby Doll è ingiustamente accusata della morte della sorella, in realtà uccisa dal patrigno, grasso e crudele. Essendo l’unica erede del patrimonio della madre, viene rinchiusa da quest’ultimo in un manicomio. La ragazza immagina di scappare, aiutata da altre detenute. Il manicomio si trasforma così in un bordello, dove le ragazze ballano davanti ai clienti per farsi scegliere, e Baby Doll vede la sua libertà attraverso il superamento di nemici e mostri di varia natura, con l’utilizzo di armi supertecnologiche, katane, e gonnelline da manga giapponesi, il tutto in un tripudio di pixel e esagerazioni grafiche. Cinema targato Zack Snyder.

Il Film: Zack Snyder si conferma sempre il re indiscusso dei film esagerati, in tutti i sensi. Se da un lato è d’obbligo fare un plauso al regista per la storia – bisogna essere dei malati di mente e geniali allo stesso tempo per immaginare nazisti mutanti che combattono con armi aliene, draghi contro B-52, mostri giganti e pagode  giapponesi che crollano – dall’altro bisogna anche dire che si compiace troppo, finendo per caricare eccessivamente ogni scena di colori, musiche, effetti speciali che rendono tutto quasi stucchevole. In un ora e mezzo scarsa di film riesce a condensare tutto quello che i manga hanno di meglio da offrire, e cioè le lolita fighe in gonnella (che nel film scoppiano tutte di salute, tra cui anche Vanessa Hudgens, fresca di Spring Breakers), le katane, e cattivi in quantità da sterminare, con aggiunta di vagonate di  effettoni in slow-motion ad ogni scontro (come in 300) e scenografie barocche (come in Watchmen), per una visione di insieme che vuole essere epica, ma che alla fine risulta solo eccessiva.

Se volessi essere più cattivo, mi spingerei oltre e direi anche che film come questo sono la morte del cinema, proprio perché non c’è più cinema: tutto fatto a computer, anche gli ambienti, ti basta una stanza di posa, ti piazzi lì e fanno tutto i programmatori dall’altra parte del monitor. Nessun costume, nessuna scenografia reale, un copione striminzito, per una recitazione che chiaramente – viste le premesse – è messa in secondo piano per lasciare spazio agli occhi. Ora, non voglio passare per quello avverso alla tecnologia nel cinema (sono contrario fino alla morte solo al 3d e a Hugh Jackman), a volte ci sta anche bene, e non guasta rifarsi gli occhi con qualche visione fantastica da PC. Però in Sucker Punch siamo all’estremo, perfino l’impronta decisamente onirica della storia alla fine finisce per risentirne, sopraffatta anch’essa dalla pesantezza delle immagini.

Voto: 6+. La sufficienza se la prende comunque, gioco forza l’originalità della storia e le bimbe in gonnella. Però devo anche dirvi che a tratti, nonostante il dinamismo tra nemici, musiche e colori, il film è anche un po’ noioso. Gli effetti speciali non sempre fanno miracoli.

Vitellozzo.

 

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Un Tranquillo Weekend Di Paura

John Boorman, 1972, Usa

Un tranquillo weekend di pauraDeliverance-by-Bill-Gold

Trama: Una gita in canoa, un posto sperduto in mezzo alla natura, e la violenza dei bifolchi del sud degli stati uniti. Uno stupro, un cadavere da nascondere, le rapide del fiume, sono troppo per i 4 uomini venuti dalla città in un territorio che non gli appartiene.

Il Film: Cult. Uno dei tipici filmoni anni ’70. Burt Reynolds e Jon Voight protagonisti. Anche se la vera protagonista forse è la natura, quel fiume, quella gola rocciosa, un posto incredibile, 

bellissimo da attraversare, ma dove non vorresti essere costretto a fermarti.

All’inizio viene spiegato come quella zona stia per essere sommersa da un lago artificiale, l’inizio della costruzione della diga è ormai vicino, l’uomo ancora una volta sta per distruggere la natura. I 4 hanno quindi l’occasione di visitare un posto che non sarà mai più visibile. 
Ma non sono soli in zona. Ci sono i nativi, i red neck, quegli americani del sud, visti in tanti film, che mettono paura per quanto sono “brutti, sporchi, e cattivi”. Stupendo e inquietante è infatti il ragazzino con il banjo nella baracca della stazione di rifornimento. Evidentemente autistico, lascia intuire, come in quelle comunità l’incesto sia pratica comune.
Dal suo banjo, incrociato con la chitarra di uno dei quattro, esce la famosissima melodia che accompagna tutto il film, incredibilmente senza rompere i coglioni 


La svolta del film arriva quando meno te lo aspetti, il clima è rilassato, gli amici si divertono, Burt fa un po’ il bullo come sempre, due di loro si allontanano, e rimangono vittime dell’aggressione di due cacciatori locali. Lo stupro del ciccione è, senza mai inquadrarlo direttamente, violento per come sembra essere solo un gioco per i due bifolchi. Da lontano, l’arco di Burt, salva Jon Voight, uccidendone uno e mettendo in fuga l’altro.
(perché come può rompere i coglioni il banjo non ce n’è), una colonna sonora “campagnola” che mette i brividi.

Da qui il film sale di colpi, di tensione, la questione morale su cosa fare del corpo, la fuga, il sentirsi sempre braccati, le rapide del fiume che aumentano, quella cazzo di melodia di sottofondo. Insomma ne viene fuori un gran film. Il tranquillo uomo di città Jon Voight dovrà mettere da parte tutta l’etica ed il buonsenso per fronteggiare ad una situazione drammatica. Ancora una volta, l’uomo è solo davanti alla natura.

Voto 7/8: Note di merito ad alcune scene di grande realismo, come il corpo di uno di loro frantumato dalle rapide, e per le locandine del film, quella americana e quella italiana, che sono splendide. Sul titolo italiano ancora non mi sono deciso, è diventato un cult a sé, ma forse dà un po’ troppo l’idea di un film horror, e non è così.
Deliverance, quello originale. Salvataggio, soccorso, ma anche liberazione spirituale. Da un segreto con il quale i sopravvissuti dovranno convivere, finché la verità non verrà a galla. Gran film.

Capitano Quint

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World War Z

Marc Forster, Usa, 2013

World_War_Z_posterTrama: Dal nulla spuntano zombie infetti. Non è dato sapere perché e come. Mandiamo a giro per il mondo Brad Pitt a salvarci.

Il Film: classica merdata americana. Ma si tocca dei punti di trash a stelle e strisce che da tempo non vedevo.
La storia fa acqua da tutte le parti, non si capisce un cazzo di come nasca l’infezione.
La regia è di un cane che non sa tenere la macchina ferma per più di due secondi, tranne quando c’è la bandiera che sventola. Ma comunque, veniamo ai momenti chiave:

-Brad trova rifugio in casa di una famiglia messicana. I due adulti non parlano inglese. Il bambino sì. Chi si salva dei tre? Solo il bambino, gli altri stupidi messicani che non parlano l’americano non sono degni di vivere. Morte ai clandestini messicani che non vogliono imparare la lingua.

– Brad fa tre viaggi: Corea del Sud, Israele, e Gran Bretagna. Tre nazioni a caso. Tre nazioni alleate USA. Proprio a caso eh.

-In Israele, sapevano già tutto, perché sono bravi. E avevano costruito già dei muri enormi per ripararsi dagli zombi. E visto che sono così buoni fanno entrare anche i palestinesi. Ma che bravi, che generosità.

– Peccato che quei cattivoni stupidi palestinesi si mettono a cantare di gioia attirando gli zombi. I soldati israeliani si trovano quindi costretti a sparare a caso sulla folla. Cosa che non avrebbero mai fatto eh! Hanno iniziato gli altri! Vi costruiamo i muri a casa vostra, e voi vi mettete a cantare? Non si fa. Morte ai palestinesi che minano la salvezza israelita.

– Best Moment: Brad trova la cura finale, deve scappare dagli zombie, ma prima… una bella e rinfrescante PEPSI in lattina. Bevi PEPSI. Solo con PEPSI puoi salvare il mondo. Anche Brad Pitt beve PEPSI. Bevi PEPSI responsabilmente. Si è visto il marchio?

– La cura finale: infettiamoci con il tifo e la sars così non ci mangiano. Idea del secolo. Che però salva tutto il mondo. Tranne un posto, dove la voce fuori campo ci dice che si continua a combattere: a Mosca! MALEDETTI COMUNISTI CHE NON ASCOLTATE GLI AMERICANI!! TENETEVI GLI ZOMBI!!

Voto: 3 Roba da pazzi. Razzismo e fascismo ovunque. Nel mezzo c’è anche Favino, ma che cazzo ci fai. Una porcheria immane.

Capitano Quint

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Cane Di Paglia (originale vs remake)

Sam Peckinpah, 1971
Rod Lurie, 2011

imagesTrama: Dustin Hoffman è un tranquillo professore americano che si trasferisce in un paesino della campagna inglese, con la moglie, originaria di quel posto. Dovrà affrontare le ostilità e la violenza di un gruppo di ragazzi, uno dei quali ex della ragazza. E’ una lotta per il territorio e per la sopravvivenza.
Nel remake la vicenda si svolge invece in quei posti del sud degli Stati Uniti, dove le uniche cose da fare sono andare a messa, e andare a caccia.

Il Film: Il film di Sam Peckinpah è una bomba. Letteralmente. Una bomba che viene preparata per tutta la prima parte del film: un luogo tetro e isolato con una comunità chiusa (un po’ come The Wickerman), il gruppo di rozzi idioti che prende in giro il nuovo arrivato, che spoglia con gli occhi la sua donna, lei che fa un po’ la zoccoletta …e poi viene accesa la miccia della bomba, con la scena del gatto impiccato nell’armadio. Da lì cambia il film. Si aspetta solo l’esplosione di violenza.
La bellezza del film sta proprio nel creare due mondi diversi: da una parte l’intellettuale e pacifico professore americano, che non farebbe male a nessuno. Dall’altra uomini ignoranti, disadattati sociali, a cui interessa solo marcare il territorio, come bestie.

Le scene: Dal marcare il territorio entrando in casa e uccidendo il gatto, a marcare il territorio stuprando la donna per loro il passo è breve.
Ma quella scena è tutt’altro che breve, è un capolavoro. Secondo me è proprio nella scena dello stupro che si vede la differenza tra il film originale e il remake. Nel film del 71 c’è un’ambiguità di lei terrificante. Lei sembra starci, sta tradendo il marito con il nemico, le piace quasi che il suo ex si imponga con la forza. E poi arriva l’altro uomo e la situazione da tesa diventa atroce.
Regia incredibile, i flash di Dustin da solo in campagna, mentre lei viene stuprata in casa, e poi i flash dello stupro che tormentano lei nelle scene seguenti danno al film un’inquietudine unica.

Il finale è tutto da godere. L’assedio alla casa, Dustin che deve trovare il suo istinto primordiale, deve diventare come loro, difendere il suo territorio. Penso sia qui il senso del film, nel far vedere la natura violenta dell’uomo al di là dell’estrazione sociale. 5 uomini vogliono violare ciò che è mio? Morirò io, o ucciderò i 5 uomini. Non c’è altra soluzione.

Gli Attori: Dustin Hoffman vs James Marsden (chii??). Vabbè dai. Dustin in uno dei suoi migliori ruoli. La camminata un po’ alla Rain Man, l’imbarazzo de Il Laureato, impacciato, fragile, per poi tirare fuori le palle con innata violenza nell’assedio finale. Grandissimo personaggio.
L’altro si porta dietro i kg inutili di Superman Returns, e di X-Men, e sinceramente uno dei punti deboli del remake è proprio lui, James Marsden (chii??).
Si può discutere invece sulle attrici! Biondina anni 70 o biondina del nuovo millennio? Di istinto preferisco sempre il vintage, ma l’altra è Kate Bosworth (quella di “21”). Bene entrambe, ma bene, bene, bene.

Voto: 8 l’originale è come una tagliola tra capo e collo. Spoiler.
6,5 al remake per l’impegno ed il coraggio, ma non c’è storia. Voglio però sottolineare la scelta felice di spostare il tutto nella campagna americana, per mostrare una realtà che mi inquieta sempre, quella di quei luoghi dove prima di tutto c’è dio e il senso di comunità, chiusa. Dove far rispettare le proprie regole conta più che uccidere o stuprare.

Capitano Quint

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Alba Rossa

John Milius, Usa, 1984, 114 min.

Trama: 1989. Gli Stati Uniti sono invasi, all’improvviso, da un alleanza composta da Russia, Cuba e Nicaragua. Tra l’immobilismo di un Europa che resta neutrale, e dell’Asia completamente soggiogata alla forza sovietica, l’America dovrà pensarci da sé a difendersi. E se gli amerrigani sono tutti tenaci come questo gruppo di ragazzi, non ce so problemi.

Il Film: Non leggete le critiche ufficiali, il film l’hanno  stroncato impietosamente.

Per me, invece, è una chicca. Al di là del fatto che la Guerra Fredda l’abbiamo assaggiata in tutte le salse, e visto che siamo nel 2013, ampiamente digerita (è abbastanza divertente pensare come la Guerra Fredda sia stata sì oggetto di milioni di milioni di film, quando in realtà non è successo proprio nulla), Alba Rossa ha dalla sua dei jolly che lo rendono diverso dagli altri dello stesso genere, e forse anche per questo ha conservato negli anni un posto speciale nel cuore di molti. Per prima cosa, lo scenario: molto suggestivo. Anche se faccio fatica a pensare a Cuba e al NICARAGUA (!!) come delle superpotenze militari, è altresì spassoso ritrovare gli USA alleati dei cinesi, che nella mente del regista dovevano essere proprio un popolino del cazzo, visto che ci fa intendere la loro più totale debolezza militare e lo scarso livello di sviluppo (oggi mi sembra sia cambiato qualcosina). Poi, il cast. Togliendo l’aspetto recitativo, di cui in un film d’azione ma soprattutto in un film d’azione anni ’80 ce ne possiamo sbattere, quasi tutti i ragazzi protagonisti hanno poi fatto strada nel mondo del cinema: Patrick Swayze (doppiato dallo stesso di Eddie Murphy, il che fa un po’ senso) Charlie Sheen, Lea Thompson (quella dei Ritorno Al Futuro), nei primissimi minuti un sempre ciccione ECLISSE (ignoro il nome vero dell’attore, per me sarà sempre l’Eclisse di Sorvegliato Speciale) e anche – non ci facciamo mancare nulla – JENNIFER GREY, che non è la sorella di Sasha Grey, ma la ricciolina di Dirty Dancing, pietra miliare del cinema demmè (Nessuno mette Baby in angolo! In un angolo no, ma per terra distesa morta schiantata sì, come accade proprio in Alba Rossa). Ed è questo un altro aspetto interessante del film: pur essendo per ragazzi, si è beccato il PG 13 (primo film in America) a causa della sua violenza. Rambo in confronto è solo un principiante. Non sbagliatevi, Alba Rossa è molto triste, questi ragazzi ne fanno fuori forse troppi, ma non sono indistruttibili come Sly. Poteva essere un ottimo film (o meglio un ottimo film anche per chi non lo considera un ottimo film), se solo si fosse fatta più attenzione in alcune scene o su certe battute, veramente troppo penose. Come il pentimento del generale cubano per tutti i morti, o anche le frasi del tipo “i tuoi genitori sarebbero fieri di te” dette da un soldato a un ragazzo che ha ucciso decine di invasori, o anche tutte le bandiere americane e russe (chiaramente ancora rimasti a Lenin) disseminate in ogni fotogramma di film. Cosa positivissima: non c’è il doppiaggio finto russo che fa tanta ma tanta tristezza, ma i ben più pratici sottotitoli. Anche per queste piccolezze, che fanno sempre piacere, il voto è magnanimo.

Voto: 6.5. Va visto anche solo perché il regista è lo stesso di Conan il Barbaro e Un Mercoledì da Leoni. Ancora solo una cosa: alla prossima scena dove vedo uno che coglie alle spalle un soldato e gli dice PRIMA DI SPARARE Sei finito! E quello si gira e gli spara addosso, provocando la morte di entrambi, quando te stronzo potevi benissimo salvarti senza dire nulla, sparargli e basta come va fatto, ve lo giuro, spengo tutto e smetto di vedere film d’azione.

 Vitellozzo.

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Stargate

Roland Emmerich, Usa/Fra, 1994, 125 min.

Trama: In pillole. Un gruppo di ricercatori scopre un portale che collega questo mondo ad un qualche pianeta chissà dove nella galassia. I mattacchioni però, non sanno come farlo funzionare perché non riescono a decifrare la coordinata decisiva per aprire il canale di comunicazione tra i due mondi. Dato che i simboli sembrano avere una qualche attinenza con i geroglifici egizi, chiamano un linguista molto bravo, a cui nessuno ha mai dato credito per via delle sue teorie sulle origini aliene della civiltà egizia, un po’ sfigatello, anche lui fogato coi simboli, Daniel Jackson. In caso di incontri indesiderati al di la del muretto, invece, può bastare un ex-generale impazzito e molto incazzato. Chiamatelo Kurt.

Il Film: Prima di specializzarsi nel filone dei film catastrofisti, e in effetti, gli ultimi in ordine di tempo sono molto catastrofici per quanto sono brutti – per rinfrescarsi la memoria The Day After Tomorrow, 10.000 A.C, 2012 – Emmerich ha girato anche questo filmetto, che poi ad oggi è il migliore di tutta la sua carriera.  Si è parlato per anni non solo di un sequel, ma di una trilogia, di cui Stargate doveva essere il primo capitolo, ma alla fine non se è mai fatto niente, anzi no, sono nati una serie di prodotti surrogati che hanno ripreso la storia, o l’idea di fondo;  come non citare la saga televisiva con McGyver, di molto dubbia bellezza, tolta la sempre gradita presenza di Mc, appunto. Comunque, dato che questi sono un po’ gli anni d’oro dei sequel senza senso, o dei prequel senza fondo, o dei remake senza ragione, vivo ancora nel terrore che anche questo me lo possano rovinare con un capitolo demmè, dato che gli attori, il nostro stimato Kurt, e anche James Spader, godono di ottima salute, oltre che Rolando, sempre lì lì per vincere l’Oscar “Boiata dell’anno”. Intanto, mettiamoci il cuore in pace e (ri)guardiamoci questo di Stargate, scrivo riguardiamoci perché non esiste che nel 2013 qualcuno non l’abbia ancora visto. Uno dei primi film di fantascienza che mi ricordo, dove gli effetti speciali ci sono, ma nei tempi giusti e nella giusta misura. Da buon ’90 anche una sacrosanta dose di ammazzamenti dei cattivi, una bomba nucleare da far esplodere (bisogna sempre portarsene dietro una ad ogni evenienza), e anche una storiella d’amore che comunque non rovina l’impronta fantascientifica di largo consumo dell’insieme. Dando un’occhiata anche al recente tenore delle trame tirate su non si sa come nei film di questo signore, fa piacere ricordarsi che, invece, Stargate, è anche di buon livello sotto il profilo della storia. Un classico film di fantascienza, con in più Russel, garanzia anche di un po’ d’azione e di qualche scurrilità made in USA.

Voto: 7,5. Saluta Tutankhamon da parte mia, stronzo!

Vitellozzo.

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Django Unchained

Quentin Tarantino, 2013, Usa

urlTrama: no dai

Il Film: con coraggio dico il peggiore di Tarantino. Il che significa che comunque è migliore del 90% dei film d’azione americani, però non s’avvicina nemmeno a Bastardi Senza Gloria, che resta per me il vero capolavoro di Quentin. 

Il film è divertente, fatto bene, perfetto in tutti i particolari…però è esattamente come me lo aspettavo. Non mi ha stupito, e forse è anche un po’ più lungo del necessario. Chi dice che è un capolavoro, non ha mai visto né un film di Tarantino, né, cosa ancor più grave, un film di Sergio Leone.
Django è un bel film, del quale ora dico le scene migliori per rovinarlo a chi ancora non l’ha visto:
– la scena dei cappucci. Forse la migliore di tutto il film. Piegato dalle risate.

– gli schizzi di sangue sulle piante di cotone. Quando un regista sa fare il suo lavoro.

– Waltz che uccide Di Caprio. 92 minuti di applausi. Muori merda, gloria, gloria a Waltz.

– le due citazioni da lacrima nel finale. Solo per gli appassionati. La musica di Lo Chiamavano Trinità, e il cattivo che urla qualcosa come: “sei figlio di una grandissima puttaaa…” proprio come nel finale de Il Buono, Il Brutto, e il Cattivo. Per queste due cose stavo per piangere.

Voto: 7- solo Tarantino poteva filmarsi mentre si fa esplodere. Comunque anche se un po’ delusione, ce ne fossero di film così.

Capitano Quint

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Codice Genesi

Albert e Allen Hughes, Usa, 2010, 117 min.

Trama: In un futuro prossimo, circa 30 anni dopo una guerra nucleare, Eli (Denzel Washington) gira tra le rovine di un’America distrutta portando con sé l’ultima Bibbia rimasta sul pianeta. Gary Oldman, capobranco di una città di tagliagole, sta proprio cercando quel libro per il potere del Verbo che racchiude, per guidare le masse, ed espandere così il suo dominio. Nel mezzo c’è tanto Interceptor, un po’ di Ken il Guerriero, tanto Farenheit 911 e Mila Kunis.

 

Sì ok, m’è presa con Mila in questi giorni, sopportatemi se potete, quando avrò finito la filmografia passerà, forse.

Il Film: Dopo dieci minuti mi sembrava di giocare a Fallout. Piccola parentesi nerd, trattasi di una saga videoludica molto popolare, in cui il giocatore si ritrova a dover guidare “l’omino” nell’America post-apocalittica, abitata da ladri criminali, assassini; il nostro alter-ego se la gira tutta a piedi (anche se è possibile condividere il viaggio con un fedele segugio), piccoli villaggi fortificati sparsi per il territorio, pratica del baratto, cannibalismo, hai delle missioni da compiere, hai delle armi, e ovviamente con il tempo diventi fortissimo. Non mi ricordo se l’omino te lo puoi scegliere afroamericano, ma sarebbe l’unica differenza tra gioco e film, perché per il resto è tutto identico. Nel gioco non c’è la Kunis, però mi pare che sia doppiatrice di un personaggio del gioco stesso, vedi te le coincidenze.. (se avete tempo da perdere vi consiglio di provarlo, anche se siete grandi, un giocone assurdo)

L’ambientazione e la scelta dei colori sono il punto di forza del film (il filo narrativo lasciamolo fare perché è abbastanza ordinario). Tutto fatto bene, tutto curato, con questi paesaggi spogli, alberi secchi bruciati dal sole, deserti dove si vede ogni tanto qualche rovina, macchine arrugginite dal tempo, case abbandonate, qualche uccello rapace che vola sulla carcassa di un povero disgraziato, vecchie fabbriche che cadono a pezzi. Le città son fatte di lamiere e polvere, vetri rotti, poca luce, gli stranieri non sono ben visti, acqua potabile razionata perché le sorgenti sono scarse, basta un nulla per scatenare una rissa, tutta gentaccia, vestita in uno stile alterativo un po’ da skinhead.

Gli unici dubbi che un bacacazzo attento ai dettagli si potrebbe porre riguardano la mera sopravvivenza della popolazione, visto che non ci sono animali a giro, o anche solo coltivazioni di nessun tipo, ne alberi verdi, dunque partono le domande classiche: di cosa si nutrono? (si presume che dopo 30 anni i surgelati siano finiti). Se è successo tutto per colpa di una qualche guerra nucleare, dove sono le radiazioni? (Fallout in questo è più fedele, visto che ci sono). Ma soprattutto, come fanno a respirare? Comunque, uno se le può anche non fare le domande, vive bene lo stesso eh.

Denzel Washington l’hanno fatto troppo superiore (forse per bilanciare il fatto che non lo si vede come personaggio, poco credibile e fuori parte), ma proprio tanto, ne fa fuori venti da solo usando il coltello di Rambo 2. Se poi si pensa che quello che sta proteggendo è una Bibbia, che la “legge” tutte le sere, che se la ricorda a memoria da quanto l’ha letta, mi sa che l’ha fatto un po’ a modo suo perché l’omino della Bibbia se ne andava sì a piedi anche lui per villaggi polverosi, però ammazzava giusto un po’ meno gente di Denzel. Però oh, lui c’ha la missione da compiere, portare l’ultima Bibbia dove possa essere diffusa nel modo giusto e preservata e allora gli si perdona tutto.

Il finale non m’è garbato, più che altro mi è sembrato poco credibile, il fatto che alla fine Mila Kunis (Solaria nel film) decida di prendere il posto di Eli come cavaliere solitario non ha proprio senso, mi sembra chiaro che passare in una settimana da barista schiavizzata (che appena maneggia una pistola) a superkiller invincibile antipallottola sia una mossa abbastanza ridicola,  è palese che durerà tre cacate da sola. Nota a titolo informativo: Denzel riesce a sopravvivere per svariati giorni con una pallottola nello stomaco sparata a bruciapelo dal cattivo Oldman, che stupido come tutti i cattivi si limita solo a sparare un colpo quando è ELEMENTARE CHE UN CAZZO DI COLPO NON BASTA MAI E CHE SE VUOI ESSERE SICURO DI AVER UCCISO VERAMENTE QUALCUNO GLI DEVI SPARARE IN TESTA SUBITO DOPO, NON LIMITARTI A LASCIARLO LI A RANTOLARE E ANDARE VIA CAZZO, OH CI FOSSE UN CATTIVO CHE LO FA, MAI NESSUNO, TUTTI SI LIMITANO A DIRE SONO IO IL PIU’ FORTE BUM E VANNO VIA. NO. NO. CI VUOLE UN ALTRO COLPO PRECISO NI’ CAPINO CRISTO.

Voto: 6/7. Angolo del maschilista: ma se nel film non si vede mezza tetta manco a pregare, ne tantomeno un linguino con Denzel, ‘cazzo ce l’hanno messa a fare Mila Kunis?

Vitellozzo.

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Warrior

Gavin O’Connor, 2011, Usa

warriorposter2Trama: sempre la stessa storia, due fratelli che non si parlano più, il buono con famiglia in crisi economica, il cattivo (Tom Hardy) ex marines che torna in città dopo anni, e il padre (Nick Nolte) ex alcolista, ex pugile, e veterano di guerra. A unire i tre un torneo di arti marziali miste da 5 milioni di dollari.

Il Film: Due storie. Quelle dei due fratelli, che poi si incontreranno solo alla fine. Tanto era chiaro da subito che si incontrassero nella finale del torneo.
Da una parte c’è questo tranquillo insegnante, sposato, con figlie, che si ritrova a dover fare i conti con la crisi, le banche, ed un possibile sfratto. Allora, memore di un passato, fallimentare, come lottatore decide di ricominciare a combattere fino a quando gli si presenta l’occasione di partecipare a questo supertorneo con i meglio al mondo e soprattutto con milioni di dollari in palio. Questa è la classica storia da film americano, il riscatto, la vittoria contro la crisi, la moglie che piange vedendolo combattere, gli studenti che lo seguono in tv, l’allenatore buono che lo aiuta. Lui è un uomo in missione: “ o lo metti ko, o perdi la casa”.

Dall’altra parte c’è la vera storia, quella più interessante, grazie soprattutto ai due attori. Qualcuno dica a Tom Hardy che a volte può anche recitare male, o meno bene, invece di essere sempre così perfetto, lo ameremo lo stesso. Qui, dove ritrova più muscoli di Bronson, crea un personaggio incredibile per la sua durezza. L’odio per il padre, per il fratello, per tutto il mondo, felpa nera senza sponsor, nessuna musica di ingresso, niente interviste, butta giù chiunque con un paio di colpi e poi se ne va dalla gabbia senza nemmeno aspettare il verdetto dell’arbitro. IL MEGLIO. Dove il film è riuscito a parte queste americanate, è nel rapporto padre-figlio. Lui pieno di ira per il padre che beveva e picchiava, che ora è costretto a rincontrare per chiedergli di allenarlo, ritrova un Nick Nolte in forma clamorosa, nella classica interpretazione dell’ex alcolizzato che può valere un oscar, ed invece essendo troppa buona non se lo prende. Due o tre scambi di battute tra loro due valgono tutto il film che trova secondo me l’apice non nello scontro finale (banale), ma nel momento in cui Nolte riprende in mano la bottiglia.

Voto: 6/7. fosse solo per i trapezi di Tom Hardy gli darei 8. Il problema è che c’è delle cazzate americane che rovinano tutto come tutta la storia dei marines, oppure tanti piccoli dettagli, di cui il più clamoroso è senza dubbio questo: il campione del mondo di questa lotta è russo (interpretato da Kurt Angle), il solito russo cattivo, e come sempre gli americani sono rimasti indietro perché non sanno che è dal 1991 che la Russia non ha più la bandiera rossa con la falce e il martello. Ma il bravo ragazzo che sconfigge il russo cattivo e comunista non s’era già visto in un altro film?

Capitano Quint

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Punto Zero

Richard C. Sarafian, 1971, Usa, 98min

Trama: Il deserto tra Colorado, Nevada, e California. Una Dodge Challenger del 70 a tutta velocità. La voce di uno speaker alla radio. Tutta la polizia contro. Tutta la gente con lui. Vai Kowalski! Corri!

Il Film: super cult anni ’70, Punto Zero si impone come uno dei migliori road movie di sempre, perché ha come veri protagonisti la strada, l’auto, e il deserto. Attraverso vari e frammentati flashback lungo tutto il film si scopre un po’ la storia del silenzioso protagonista, ex poliziotto, ex pilota di auto da corsa, che attualmente consegna automobili. Un venerdì notte gli viene affidato l’incarico di portare una dodge bianca da Denver a San Francisco entro lunedì. Scommette che sarà in California sabato pomeriggio. Inizia così la sua corsa a tavoletta, ed immediatamente la polizia lo insegue con tutti i mezzi, ovviamente tutti inutili. A commentare la vicenda, una piccola radio, guidata da uno speaker nero, Super Soul (tremendamente tradotto in italiano Super Anima), che con la sua voce e i suoi dischi rock e funk, diffonde la leggenda di Kowalsi a tutta la gente che vede nel pilota un simbolo di libertà.

Film bellissimo, amato da Spielberg, citato da Tarantino in Grindhouse, girato veramente bene, ottime scene di inseguimento, incidenti, e polveroni nel deserto. Colonna sonora azzeccata, d’altra parte con una macchina in fuga e del rock in sottofondo è difficile sbagliare.
Da vedere. E’ di quei film, come Drive di Winding Refn, come Crash di Cronenberg, che poi quando monti in macchina ti accorgi che ti hanno segnato. Pericolosamente.

Voto 7.5: E poi arriva la fine, una botta nello stomaco. Strada dritta, la polizia che sistema due ruspe come posto di blocco. Kowalski che accenna un sorriso, e pesta sul gas, puntando dritto verso la libertà, che sia l’esplosione finale, che sia la gloria di essere stato una leggenda.

Capitano Quint

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Hannibal

Ridley Scott, 2001, GB/USA/Ita

Trama: sequel de Il Silenzio degli Innocenti. L’agente speciale Starling, interpretata stavolta da Julianne Moore, è alla ricerca del dr. Hannibal Lecter, che intanto sta portando avanti i suoi “interessi” a Firenze. Ma sulle tracce di Lecter c’è anche una sua ex vittima sopravvissuta molto vendicativa.

Il Film: lascia un po’ con l’amaro in bocca al pensiero di quello che sarebbe potuto essere, ovvero un film migliore, dato il regista e dati gli attori. E invece si rimane un po’ delusi. Soprattutto da due scene: l’apertura, e il finale. I dieci minuti di sparatoria iniziale sono veramente brutti e anche inutili all’interno della storia, salvo forse per il presentarci una Clarice Starling ormai matura, non più insicura, e con una nuova faccia quella di Julianne Moore al posto di Jodie Foster. Il finale invece è abbastanza senza senso. La cena con Ray Liotta a cranio aperto che mangia il suo cervello, rende purtroppo tutto poco credibile.

Nel mezzo tante altre cazzate, ma anche tante cose da salvare. Con metà film a Firenze, e metà in America, la cosa meno chiara di tutte è: parlano tutti italiano o sanno tutti l’inglese? Si telefonano da una parte all’altra del mondo senza problemi, magari si sono messi d’accordo prima su che lingua parlare. Ci sono poi tante piccole cose insensate, come Francesca Neri che si ritrova a leggere Dante davanti ad Anthony Hopkins, e riesce a farlo male. Giancarlo Giannini, bravissimo come sempre, che nonostante il film si svolga ai giorni nostri, si scopre essere stato da poco sospeso dal caso del Mostro. Bah, agli americani piacciono queste forzature sull’Italia…

Ma ci sono due cose che salvo in pieno. La prima è il notare come Ridley Scott, anche in un film inferiore alle sue capacità, riesca a mostrarci un’infinita tecnica con la macchina da presa. Mai Firenze era stata inquadrata in questo modo, lontana dalle cartoline incantate. Mai avevo visto Piazza della Signoria completamente vuota, i portici così tetri, il mercato del Porcellino così tenebroso. Anche per uno che come me ci vive, e vede questi posti tutti i giorni, riscoprirli così è un piacere. L’altra lode va chiaramente a sir Hopkins, magistrale nel suo ruolo, spaventoso nella sua calma, letale nella sua violenza. Qui ci mostra molto più sangue rispetto al capitolo precedente, senza comunque perdere una classe ed un’eleganza innata, che ritroviamo in ogni suo film. Il film lo regge praticamente lui da solo.

Voto 6: chicca finale nei titoli di coda, la vittima sopravvissuta a Lecter, un riccone sulla sedia a rotelle ormai completamente sfigurato ed irriconoscibile, è Gary Oldman che non perde occasione di regalare un’ottima interpretazione.

Capitano Quint

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Zombie Strippers

Jay Lee, 2008, Usa, 94min

Trama: In un laboratorio chimico militare si disperde un virus. Un infetto riesce a scappare e a raggiungere un locale di spogliarelliste, dove….no via, c’è Jenna Jameson, la trama non ha senso.

Il Film: facciamo contenti tutti i grandi critici esperti di cinema sul web dicendo che il film è una merda. Per tutti gli altri, il film è ovviamente consigliatissimo, per due semplici ragioni: è un b-movie splatter, e c’è Jenna Jameson. Il b-movie splatter regala sempre gioie perché dà garanzie, sai già cosa aspettarti e quindi non rimani deluso: una recitazione imbarazzante da parte di tutti gli attori, personaggi stupidi, una trama inesistente al servizio di sangue e tette. E che tette, visto che ci troviamo all’interno di uno strip-club, in cui le ragazze, diventando via via degli zombie, hanno l’istinto di scatenarsi ancora di più, e poi mangiare i loro clienti. Il rapido decomporsi dei corpi, induce lo spettatore ad una naturale deviazione verso la necrofilia, e quando le ragazze sono ormai inguardabili mostri, gli sceneggiatori decidono di far arrivare una squadra speciale dell’esercito capeggiata da due tettone, così, tanto per ristabilire le cose.

Non può essere considerato un film decente, ma comunque sono apprezzabili gli effetti visivi ed il trucco degli zombie, tutto fatto bene, artigianalmente e grezzamente come è giusto che sia. Per i palati più fini, bisogna dire che Jenna è già nella fase anoressia + lifting, fase che ha rovinato decisamente la sua estetica divina e indiscutibilmente perfetta degli anni ’90, ma: 1­­- possiamo notare che anoressia e mutazione in zombie colpiscono la carne, ma non il silicone; e 2- c’è lei che balla nuda, ti morde, e te diventi zombie, quindi immortale. Problemi a riguardo?

Voto: 4 ai dialoghi, 4 alla sceneggiatura, 8 all’idea, 8+ a JJ.
Media 6, bono dai

Capitano Quint

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Prometheus

Ridley Scott, 2012, Usa, 124min

Trama: per quanto è stato scritto a riguardo, non voglio più vedere scritte le parole prequel e Alien.

Il Film: ne ho lette di recensioni a riguardo, un film distrutto a priori, solo perché non era come Alien. Ridley Scott non è più lo stesso, il finale è banale, il film è un blockbuster commerciale, non doveva collegarlo ad Alien, e cazzi vari, tutti fenomeni. Quindi fo il fenomeno anch’io: a me il film è piaciuto. E’ un gran film di fantascienza ed è il miglior film di Scott da diverso tempo a questa parte. Non è un capolavoro come Alien, non è Alien, secondo me non vuole nemmeno esserlo, è un buon film di fantascienza.

Sequenza iniziale tanto infamata, che in realtà non fa altro che aprire il film innocentemente: ci viene presentato questo nuovo alieno molto simile ad un uomo, (e non è fatto al computer, è tutto lattice e make-up), che, da quanto ho capito, bevendo un liquido nero muore ed il suo dna si ricostituisce formando una nuova forma di vita. E’ la spiegazione al tema del film, chi ci ha creati? Nel futuro un gruppo di scienziati parte verso un pianeta dove si presume vivano questi esseri superiori, gli Ingegneri, per entrare in contatto con loro. Questa è in breve la trama. La base degli alieni è stupenda, queste grotte buie dove si intravedono forme di tecnologia sono bellissime, ed erano proprio quello che mi aspettavo, cioè una ricchissima cura nei particolari. Gli attori se la cavano alla grande, anche se non mi fa impazzire la protagonista, bravi Michael Fassbender e Idris Elba (brava la mamma per il nome), e su Charlize Theron c’è poco da dire, o guardi lei o segui il film, due cose insieme non le puoi fare.

Ma veniamo al punto cruciale: i collegamenti con il film del 1979. Quello che mi attirava di più, come tutti i malati di Alien, era vedere chi o cosa era lo Space Jockey, l’enorme esoscheletro che troviamo nel vecchio film seduto nella postazione della enorme astronave misteriosa. La scena è emozionante, vedere l’astronave attiva, l’Ingegnere che indossa la sua tuta con quello che si scopre non essere un teschio ma un casco, vedere la postazione con il sedile emergere e vedere lui montarci sopra, è stato qualcosa di toccante. Mai quanto sapere che…non è suo il cadavere che vediamo in Alien. Questo è l’aspetto che più mi è piaciuto del film di Scott, l’aver creato tantissime aspettative su un prequel e poi aver tolto tutte le certezze. Ancora non sappiamo se quella sia davvero quella astronave, la postazione dello Space Jockey rimane vuota dopo che l’Ingegnere la abbandona, non sappiamo se quello sia il pianeta su cui atterra la nave di Sigourney Weaver, e dobbiamo ancora vedere come si evolve l’essere finale che ricorda il mostro alieno, senza chiaramente esserlo. Sulle scene definite cruente o splatter, ho ben poco da dire visto che non le ho trovate così clamorose, e semmai ecco quelle sì, sono un po’ banali e forzate, però a volte un piccolo tocco di horror ci sta comunque.

Voto 7.5: Quindi è certo un secondo film. Siamo 29 anni prima di Alien, c’è ancora tempo per ampliare ancora di più una trama che si sta facendo ricchissima. Si decide tutto nel prossimo film: RIDLEY NON MI SBAGLIARE ORA! Io sono sempre con te.

Capitano Quint

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Tremors

Ron Underwood, 1990, Usa, 96min

Trama: c’è Kevin Bacon, c’è i su amico, c’è la ragazza da salvare, c’è quello pieno di armi, e ci sono i Tremors.

Il Film: una perla, un cult, uno degli ultimi action movie con mostri che si può definire un film godibile. Gomma piuma, lattice, sangue arancione, e modellini in scala, vanno sempre in culo a tutti. Solo intrattenimento, la trama praticamente inesistente, questi mostri non si sa da dove vengono e non ce ne frega niente, sono solo capitati nel posto sbagliato. Perché in questo sperduto paesino in mezzo al deserto americano, di circa una quindicina di abitanti, ci sono quei 4 o 5 fenomeni da amare uno più dell’altro. A gestire l’emporio ad esempio c’è Victor Wong, il vecchio cinese bastardo de Il Bambino d’Oro, il mago di Grosso Guaio a Chinatown, il professore di Il Signore del Male. Poi nella sua casa bunker vive Burt, che condivide con la moglie due passioni: i fucili e gli esplosivi. Pareti piene di armi, munizioni ovunque, il Tremors lì dentro non ha la minima possibilità di sopravvivere. Ed infine ci sono loro due, Earl e Val, ovvero il grande Fred Ward (Fuga da Alcatraz, Una Pallottola Spuntata 33 e un terzo), e l’ancor più grande Kevin Bacon, mito indiscusso tra fine anni 80 e primi anni 90. Sono loro a regalare le battute più indimenticabili del film, come: -“Che cazzo è?” –“E’ un figlio di puttana”, oppure il memorabile “Vaffan..CULO!!”. Insomma il film preso come un’ora e mezzo di puro intrattenimento è un gran film.
(notare come i Tremors siano uguali ai mostri nella sabbia di Dune di Lynch).

Voto 7: e riguardandolo all’1 di notte, mi ritrovo ad urlare nel finale insieme a Kevin: SAI VOLARE TESTA DI CAZZO?? SAI VOLARE TESTA DI CAZZO???

Capitano Quint

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Ogni Maledetta Domenica

Oliver Stone, 2000, 150 min.

Trama: Al Pacino è un allenatore di una squadra di football della Major League. Vecchia guardia, forgiato da tanti anni nel giro e da metodi d’allenamento e tattiche di gioco all’antica. Quando il vecchio proprietario muore e la giovane figliola Cameron Diaz prende il suo posto alla guida della squadra, lo scontro tra i due è inevitabile. La nuova dirigenza  vorrebbe sostituire il navigato allenatore con qualcuno più giovane che porti nuove idee al gruppo. Al Pacino non ci sta, e risponde a modo suo: vincendo.

Il Film: Penso sia il miglior film sul football che sia mai stato fatto, (insieme a Le Riserve, chiaro) e in America ne fanno uno al mese. Oliver Stone è uno dei pochi registi rimasti che riesce sempre a tenersi a galla, tirando fuori pellicole di grande successo ma anche di un certo spessore, scendendo cioè a compromessi nel girare storie nazionalpopolari che attirino e che siano allo stesso tempo godibili e pregne di significato: la guerra (Platoon), l’economia (Wall Street), la politica (W.), non poteva certo mancare il mondo sportivo. C’è da dire anche che il cast aiuta tantissimo; accanto a Pacino e Cameron Diaz – l’unica forse che stona un po’, mi sembra leggermente fuori parte – abbiamo un bravo Dennis Quaid nel ruolo di quarterback ultra celebrato avviato ormai al viale del tramonto, James Woods – medico di squadra senza scrupoli che riempie di “bombe” i suoi giocatori per farli giocare – e poi giusto una manciata di afroamericani, che nel football non bastano mai, tra cui LL Cool Jay, e Jamie Foxx, nei panni dell’arrogante “nuovo” quarterback pronto a scalzare Quaid. Come riempitivo di una regia forse non troppo illuminata, la colonna sonora si adatta perfettamente ad ogni scena del film, frenetica nelle fasi di gioco, carica di tensione durante i dialoghi più salienti. Già, i dialoghi, altro punto forte, un classico: linguaggio più che scurrile, “americano” in ogni frase, un po’ di fanculo qui e là, qualche sacco di merda qui e là, qualche “dannato questo o quello” e via. Perfetto per un film sullo sport, proprio quello che mi aspetto di sentire da un Al Pacino che da’ sempre prova di essere un numero uno nella parte del manager/allenatore pronto a tutto pur di vincere, mai sazio, sempre primadonna, che anche nel finale, quando sembra tutto già deciso manda tutti a quel paese con un colpo di coda da K.O. Ma il cammino della squadra verso la vittoria non è il fulcro pulsante della storia, bensì tutto quello che ruota intorno al mondo dello sport. Giocatori con contratti milionari – quasi tutti sposati e con famiglia –  che vanno alle “classiche” feste in villa e pippano seduti sulla tazza del cesso mentre magari si danno da fare con qualche signorina simpatica, medici senza paura che riempiono i muscoli degli atleti di infiltrazioni rovinandoli per sempre, giornalisti sportivi pronti a tutto pur di trovare lo scoop, e poi il business, chiaramente, linfa vitale dello showbiz americano. Quella legge del mercato che non esita a liberarsi di un quarterback ormai vecchio e logoro, sfruttato dagli sponsor e finito, e spremere anche quello nuovo con pubblicità di ogni tipo, fin che ce né, poi anche lui sarà buttato via come gli altri. E questo Stone ce lo spiega benissimo; da noi userebbero duecento discorsi fuoricampo con monologhi infiniti dei protagonisti, Stone, invece, ce lo fa semplicemente vedere e capire con quei due/tre fotogrammi che racchiudono il senso di un film.

Voto: 7,5. Come in ogni film di genere, immancabile scena con discorso pre-partita del coach che ti dice che questa sarà la partita della vita, che non ci sarà più niente dopo questa, solo la storia ad aspettarti ecc..Questi discorsi si sanno a memoria, ma se te lo fa Al Pacino quasi quasi uno ci crede un po’ di più. Bella anche la scena finale della conferenza stampa, che dopo quasi 3 ore di film è una chiusura divertente e perfettamente in linea col personaggio di Pacino e col registro del film.

Vitellozzo.

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Breakdown – La Trappola

Jonathan Mostow, 1997, Usa, 95min

Trama: Sulle classiche strade deserte americane, un uomo e sua moglie sono inizialmente perseguitati da un paio di cattivi, intenti a rapire la donna per poi chiedere il riscatto. C’è un problema, il marito è Kurt Russell.

Il Film: ma come cazzo ti viene in mente, ma come cazzo si fa a rapire la moglie di Kurt Russell. Anche se qui interpreta un uomo per bene un po’ impacciato, una volta che fermi la sua macchina, e lo vedi in faccia cazzo te ne accorgi che è Kurt Russell, fermati subito, digli guarda ho sbagliato, vo a rompere le palle a quello dopo. No, questi insistono, e allora so’cazzi vostri, come potrà finire.

Voto 6.5: action movie classico, lui che salva lei, Kurt che supera i timori iniziali per poi spaccare il culo a tutti. Notevoli comunque alcune scene di inseguimento tra auto e camion, e anche la scena finale, che tengono il film su un buon livello. Morale: mai rompere il cazzo a Kurt.

Capitano Quint

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