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Mediterraneo

Gabriele Salvatores, 1991, Ita

mediterraneoTrama: 1941. Un manipolo di soldati italiani deve presidiare una piccola isola greca. Un paradiso, lontano dalla guerra. Motivazioni valide per non restare lì? Nessuna.

Il Film: Dovessi dire quanti film mi piaccio di Salvatores farei in fretta. Sono giusto tre o quattro, e tutti dello stesso periodo, tutti più o meno sugli stessi temi: la fuga, l’amicizia, il viaggio. Marrakesh Express, Turné, Puerto Escondido, e questo. Stessi attori, per una formula vincente tra comicità e melanconia che ancora oggi rende quei film i migliori della sua produzione.

Mediterraneo è forse il più complesso. anche per il periodo trattato. Non sono poi così tanti i film italiani sugli anni 40, ed ancora meno quelli sui soldati impegnati sui fronti esteri. In realtà la caratteristica del film è che sì, si svolge negli anni 40, ma i protagonisti parlano come se fossimo negli anni 70, dialoghi forse troppo moderni per dei soldati dell’epoca (“c’è ancora quel fumo che ha lasciato il turco? Ma non sarebbe meglio se fosse sempre così, che ti rubano le armi e ti lasciano sta roba.”). C’è sempre la speranza della costruzione di un mondo migliore fatto di pace e amore che aleggia per tutto il film.
Il mondo migliore i soldati lo hanno già trovato. Un piccolo paradiso di mare, chi glielo fa fare di avvertire qualcuno e farsi venire a prendere? Pianta due pali, e passa la palla. Oppure fai visita alla bella Vassilissa, senza innamorartene magari (“Si è presa a cuore un aspetto psicofisico di tutto…cioè, eh sta portando avanti un discorso…è una puttana!”)

Bisio, Bigagli, Cederna, Catania, Gigio Alberti, tutti attori che danno il meglio di sé, i momenti comici sono tanti, come alcune scene epiche, ma a reggere il film è la figura immensa di Diego Abatantuono, secondo me nel suo miglior periodo, dopo il trash anni 80, e prima del trash revival degli ultimi 15anni. Rido ad ogni sua frase, ogni sua espressione, un mito in questo film.
Oscar come miglior film straniero, colonna sonora bellissima, bei dialoghi, si ride, si riflette, gran film, con un’unica pecca per me: il finale con loro da vecchi che si ritrovano, troppo retorico.

Voto: 7/8Sai che ogni volta che vedo un tramonto mi girano i coglioni, perché penso che è passato un altro giorno. Dopo mi commuovo, perché penso che sono solo.
Le notti mi piacerebbe passarle da solo. Da solo…nsomma…magari con una bella troia, che è meglio che da solo.”


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Viva L’Italia!

Massimiliano Bruno, Ita, 2012

Trama: il cast italiano delle grandi occasioni: Placido, Bova, Angiolini, Gassman, Papaleo, tutti riuniti in uno dei film più bugiardi, buonisti, ipocriti, in una parola brutti, degli ultimi anni.

Il film: dico solo la cosa più allucinante, il film è una sottospecie di critica alla falsità dei politici italiani, un’ode al populismo, al qualunquismo, il regista recita brani della Costituzione per far vedere come non sia rispettata, insomma si critica il sistema al potere in Italia, e poi la prima scritta che appare nei titoli di coda è:
FILM PRODOTTO DA UN POOL DI BANCHE TRA LE QUALI UNICREDIT, SAN PAOLO, E STI CAZZI.
Ma stiamo scherzando? Vuoi fare il film impegnato della minchia, critichi i politici, critichi il sistema, e ti fai pagare sta cacata da un pool di banche?!! Ma ti levi di culo.

Premio “non c’ho voglia de recità” a tutto il cast.
Premio squallore a due scene: Placido, politico pentito, che cammina tra le macerie de L’Aquila, e sempre Placido che cammina, stavolta in rallenty, in mezzo agli scontri tra giovani e caschi blu. Alla grande, continuiamo così.

Il Voto: 4 al film, non diverso dalle altre commedie commerciali. Attori inqualificabili, situazioni imbarazzanti, parti comiche che fanno quasi compassione.
Il Voto: 2 alla bieca operazione buonista stile Rocky 4 “se io posso cambiare, tutto il mondo può cambiare”.
No idiota, se ti fai dare i soldi da un pool di banche per fare un film che finisce con il volemose bbene siamo italiani, non cambia un cazzo.

Capitano Quint

livello della comicità espresso dalla divertentissima gag con “elena-elena di troia”

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Don Jon

Joseph Gordon-Levitt, Usa, 2013, 90 min.

Trama: il sempre più bravo Joseph Gordon-Levitt veste la parte di un tamarro del New Jersey palestrato e egocentrico, sempre pieno di figa. In qualità di barman – uno status sociale che di per sé ti garantisce un tot. di ragazze minimo all’anno – ogni sabato sera rimorchia tutte superpassere, ultrafiche-ultrasode. La Domenica, poi, da buon italoamericano, va a messa, si confessa, e resta dai suoi per il classico pranzo domenicale. Tutto facile, ma c’è un problema: Don Jon ama i porno, ne guarda decine al giorno, sono la sua droga, molto meglio del sesso vero. Anche quando sembra trovare la ragazza giusta per lui (Scarlett mannaggia a te sei sempre più illegale, sono andato a cercare il profilo di Barbara Sugarman su Facebook, come sarò messo?), questa lo becca a masturbarsi davanti al pc, e i due si lasciano. L’uomo non capisce davvero quale sia il suo problema, non capisce perché fare l’amore non è la stessa cosa per lui che guardare un bel porno. La differenza (ammesso che ci sia, sono un po’ dubbioso) gliela spiega Julianne Moore, brava eh, in un finale però molto banale e, secondo me, anche un po’ stupido.

Il Film: Come esordio alla regia per Gordon Lewitt direi che non c’è male, c’è chi ha fatto di peggio, soprattutto dalle nostre parti (vero Gabri?). Il ritratto del tamarro del New Jersey che tanto abbiamo imparato a conoscere, anche grazie a diversi reality televisivi, è ben fatto: canotta, muscoli al posto giusto, palestra a gogo, capelli laccati perfetti (con annesso taglio da testa di cazzo). Stessa cosa vale per la controparte femminile: cagna quanto basta, rozza e volgare, un filino stupidina e superficiale, una che vuole l’uomo vero al suo fianco e non un frocetto che fa le pulizie in casa (Scarlett, ho il letto sfatto da due giorni, io sono qui), per una recitazione che rende perfettamente l’idea. La nota negativa è data da tutta quella serie di luoghi comuni sul pensiero maschile maschilista riguardo i porno e sul quanto le aspettative degli uomini si carichino a mille, per poi afflosciarsi con la dura realtà dei fatti (non siate maliziosi), e cioè che la tua ragazza non è una pornostar (purtroppo) e non farebbe mai quelle cose, “non sono una puttana!”: il regista sbaglia nel voler far passare a tutti i costi un pensiero che poi non rispecchia la realtà.

Questo è quello che avrei voluto tanto pensare, se solo fosse stato vero. E invece ha proprio ragione Gordon, cazzo. Tutti i luoghi comuni sui porno, e sul perchè li guardiamo, sono assolutamente la verità. La ragazza che ti ama non ti fa un pompino, ne altre diavolerie viste sui filmini; i porno ci mostrano la via da seguire, e grazie al cielo. Parafrasando (più o meno) le parole di Kelso (da Scrubs) “se un giorno da internet togliessero tutti i siti porno, rimarrebbe soltanto una pagina, con la scritta “ridateci i porno!”. L’unica cosa da ricordare (imperdonabile errore Gordon, davvero imperdonabile) per non farsi lasciare da Scarlett – o da chi ne fa le sue veci ma non ce la fa – è solo questa: RAGAZZI, CANCELLATE SEMPRE LA CRONOLOGIA.

Voto: 7-. Anche se io e il Capitano facciamo un po’ i ganzi con questo blogghettino di cinema, dove ogni tanto ci infiliamo dentro qualche film sconosciuto cecoslovaccomaconisottotitoliintedesco, a monte di tutto c’è sempre la relazione fondamentale, da tenere presente quando ci appresta a guardare un film: Film d’autore VS Film d’autore porno….non c’è gara.

 

Vitellozzo.

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I più grandi di tutti

Paolo Virzì, Ita, 2012, 100 min.

Trama: Il batterista dei Pluto – gruppetto rock di metà anni ’90 semisconosciuto – riceve la telefonata di un certo Ludovico, il quale vuole girare un documentario sulla band, e ventila a Loris (questo il nome del batterista) la possibilità di un concertone con altri grossi nomi della musica: Litfiba, Afterhours…

Loris quasi non ci crede, sembra impossibile che questo ragazzo, molto facoltoso, consideri i Pluto imprescindibili e i più grandi di tutti, invece è tutto vero. Per cui, pur non vedendo gli altri membri da anni ormai, ma con in tasca un anticipo di diverse migliaia di euro, e causa anche un po’ di compassione suscitata dall’entusiasmo di Ludovico, paraplegico in seguito ad un incidente in moto, Loris accetta, sapendo che dovrà riunire il gruppo e ricominciare a suonare dopo troppi anni di inattività.

Il Film: Paolino lo sapevi che prima o poi toccava anche a te. Per quanto mi riguarda di Virzì ne salvo due: Ovosodo e La prima cosa bella, film diversi in tutto, tranne che in quello che più mi piace di Virzì e che considero l’unico suo talento (se si esclude la su moglie): la capacità di raccontare la strada, la vita dei rioni e in generale del proletariato urbano in maniera sempre onesta e sincera, oltre che assolutamente verosimile (anche se un po’ troppo agrodolce). Anche in questo film si respira un po’ di quell’aria. I Pluto è un gruppo di Rosignano Solvay, periferia abbastanza deprimente, e nel suo periodo d’oro si esibiva in locali squallidi con tre gatti ad ascoltare o sui tetti delle fabbriche davanti agli operai in sciopero; uno dei membri oggi fa l’operaio a rischio cassa integrazione, ciononostante Loris lo invidia perché la sua vita è ancora più precaria. Marco Cocci fa il barista sbronzo una volta sì e l’altra pure, e Claudia Pandolfi la casalinga disperata, sfuggita a un passato di tossicodipendenza e alcol grazie alle cure del marito Ale (di Ale&Franz). Ecco, secondo me approfondire un attimino di più su quest’aspetto, sul come se la passano quelli che non ce l’hanno fatta non guastava, e avrebbe arricchito il film, che – escluso questa vena verista – non ha nient’altro da dare. Cento minuti in cui sembra debba succedere qualcosa, ma che alla fine non succede niente, se non le solite cose che uno si aspetta MEGA SPOILERATA NON LEGGETE SE NON VOLETE SAPERE COME FINISCE, come la riconciliazione della band dai vecchi dissapori, il mitico concertone, che non è altro che una montatura organizzata dallo stesso Ludovico a insaputa dei Pluto (anche se poi Loris, alias il Dandi di Romanzo Criminale lo scopre), con attori pagati per fare il pubblico urlante sotto il palco, e il vero motivo dell’interesse di Ludovico per il gruppo: ricordare la memoria della sua ragazza, morta nell’incidente in cui lui è rimasto paralizzato, mentre andavano a vedere un loro concerto.

Voto: 5. La sufficienza non glie la do. Anche se l’idea era bellina, è stato sviluppato tutto male, i personaggi hanno lo spessore di un foglio di carta, e la recitazione un po’ così così: un Marco Bocci a suo agio (forse perché tempo addietro faceva parte di un gruppo vero) fa da contraltare una Pandolfi sempre inqualificabile. Punto di demerito anche per qualche battuta in livornese (tipo il budello di to’ma e simili) che mi sembrano gratuite e messe lì solo perché il pubblico italiano si aspetta che a Livorno non si dica altro. Come se noi a Firenze si fosse sempre a dire maremma buhaiola – frase utilizzata forse due volte due nella mia vita. Menzione speciale, invece, a un graditissimo ritorno sullo schermo dell’attore che interpreta Mirko (l’amico di Piero Mansani) in Ovosodo, e per me sarà sempre e solo Mirko, e alla canzone dei Pluto, che se la gioca alla grande con qualsiasi pezzo di Vasco.

Vitellozzo.

 

Mirko vive

 

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I ragazzi della notte

Jerry Calà, Ita, 1995, 96 min.

Trama: Con un tentativo più che maldestro Jerry Calà si mette in cabina di regia e prova a farci vedere come se la spassano i ragazzi il sabato sera. Oh Jerry, gnamo, fai la parte del milanese piacione e limitati a quello, che mi piaci sempre, ma non ti spingere oltre, risparmiaci. Capitttooo??

Il Film: Per l’angolo del trash. In queste calde nottate estive mi piace vedere film giovani sui ragazzi giovani che vivono la notte. Se poi questa è anche un occasione per riscoprire grandi personaggi dello spettacolo, spariti oggi – non si sa perché – dagli schermi televisivi, tanto meglio. Questo film è la sintesi perfetta delle due cose: da un lato ci permette di dare uno sguardo alle notti della disco, e dall’altro di sfottere senza troppi rimorsi la recitazione più che penosa di gente più che penosa, famosa per programmi più che penosi. L’occhio poi, che ci dovrebbe mostrare come se la spassa il popolo della notte, è quello di uno che adulto non è mai diventato, neanche ora a sessant’anni suonati: Jerry Calà, che nel film interpreta la parte di se stesso, andato a ritirare un premio in una delle discoteche dove si svolge tutta la storia. Parlare di storia è abbastanza imbarazzante, visto che sono scenette ingenue legate una all’altra solo per il fatto che riguardano i ggiovani e si svolgono suppergiù nello stesso posto, sulle rive del lago di Garda, famosissimo luogo per il divertimento giovanile, estigazzi. Oltre ai temi affrontati (e soprattutto al modo in cui viene fatto), altro elemento di indiscussa eleganza è il come alcuni di questi vengono presentati, attraverso cioè le telecamere di una televisione venuta lì proprio per intervistare i ragazzi e scoprire il loro mondo, una specie di Lucignolo. Mondo dove il buon Jerry senza buongusto ci butta dentro tutto, della serie meglio abbondare, senza un minimo di logica, o comunque con una logica che ti fa cascare veramente le palle: scena 1 – i due classici figli di papà  sono in macchina e decidono di fermarsi a fare scorta di alcolici da mettere in un borsone che poi si porteranno dietro nel locale (comodissimo), scena 2 – alcuni ragazzi (sempre di notte) vanno all’ospedale a trovare una loro amica teen, in coma a causa di un incidente con la macchina, con genitori allegati,  piangenti al capezzale della figlia. Cioè, cosa ci vuoi dire? Che se uno beve e guida poi fa un incidente e va in coma? Il prima e il dopo? Voglio dire, sarebbe anche un principio condivisibile (sempre con le dovute correzioni) però raccontato in questo modo (e con questi tempi del film) è da denuncia. Ma mettiamo anche che Jerry sulla macchina da presa si riscopra non dico un genio, ma almeno capace, mettiamo che abbia avuto (cosa che non è successa) un aiuto regista che non fosse un cane e sia riuscito a girare scene almeno con un senso; ecco, sarebbe comunque tutto rovinato (o impreziosito, a seconda dei punti di vista) dalla creme dei nostri migliori talenti recitativi, vanto della nazione. In ordine sparso: una giovane e molto manza Francesca Rettondini che stetteggia nella discoteca, una piacevolissima – solo da vedere – Alessia Merz, sparita dai radar mondiali per il bene del cinema, un elegante Fabio Testi che fa la parte che avrebbe dovuto fare De Sica se avessero avuto i soldi per ingaggiarlo, e cioè quella del padre di famiglia farfallone e con l’amante. I più bravi di tutti li lascio però alla fine: Walter Nudo, che regala i 10 minuti più belli del film grazie a una recitazione indegna persino per lui,  Valerione Staffelli, nella parte del milanese arrogante coi soldi e le fighe “welà cazzo ffai, portami il grano dai” che fa sempre tanta simpatia, e una giovanissima (e sempre odiosissima) Victoria Cabello, non la sopporto proprio lei. Menzione speciale anche al poster di David Hasseloff in camera della Merz. Generazioni a confronto: ora gli One Direction, prima Mitch Beucannon, chi ha perso?

Voto:  3. Era una sufficienza piena, poi verso la fine mi è sembrato di vedere uno che odio più di tutti a fare una comparsata, e allora no. Va bene Walter Nudo, passi anche Victoria Cabello, ma Povia no cazzo.

Vitellozzo.

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Ecco fatto

Gabriele Muccino, 1998, Ita, 87 min.

Trama: Marco e Piterone sono due liceali ultra-ripetenti che quest’anno dovrebbero finalmente diplomarsi. Il condizionale è d’obbligo, perché i due amici sono un po’ mattacchioni, e sui banchi a studiare proprio non ci vogliono stare. Meglio le feste, le cazzate, gli amici, l’amore con tanta gelosia (perché alla fine è una commedia un po’ romantica, ma anche no), e per essere ancora più giovani e originali l’amore lesbo non corrisposto. Tanto poi se le cose vanno male, se  i voti fanno schifo ci pensano loro con le solite marachelle, sulla scia del miglior Alvaro Vitali. No spè, fermi. Ma diecimila volte meglio Pierino.

 

Il Film:  L’esordio cinematografico di Gabrielone merita una recensione. Anche solo per chi vuole risalire alla notte dei tempi in cui il nostro regista preferito non si è scelto un altro mestiere, ma, caparbio come un colibrì contro vento,  ha deciso di sfidare la sorte avversa e le capacità limitate mettendosi a girare lungometraggi. Per la gioia di noi tutti.

Ecco fatto. Manco a dirlo, il film è talmente farcito di luoghi comuni e stereotipi sui ragazzi di oggi (che poi siamo nel ’98 ma vabbè) che fa quasi tenerezza. Come solo i grandi registi del cinema verità sanno fare, Muccino ci rifila per l’ennesima volta il ritratto del tipico studente italiano (o almeno tipico secondo lui, visto che poi ce lo ritroviamo uguale in Come te nessuno mai, o anche in Ricordati di me), e cioè del solito svogliato, di quello del potrebbe ma non si applica, del furbetto che solo manomettendo i voti alla fine riesce a spuntarla.  Ecco, sono stanco, sempre lo stesso soggetto; gli ultimi della classe piacciono a tutti si sa, ci ritroviamo sempre un po’ di noi stessi, e ci viene subito voglia di stare dalla loro parte, anche quando sbagliano, però basta dai, non ne posso più, sono saturo di questo soggetto. Personaggio che non regge poi, se ci incolli sopra la faccia pulita di Giorgio Pasotti (che dimostra sempre vent’anni anche ora che ce n’ha quaranta), affiancato dall’amicone di sempre Santamaria. Accanto a loro anche il mitico Silvestrin (notare come questa gente sia stata ritenuta degna di apparire anche nei film successivi di Muccino) e chiaramente non poteva mancare la presenza femminile – che poi è la co-protagonista – di Barbora Bobulova. Sì, non ho sbagliato a scrivere. Barbora, che nome del cazzo. Per aggiungere un ultimo tocco di trash al tutto, la storia viene rievocata a posteriori dai due ragazzi (qualche mese dopo), che ora fanno un lavorone (lavanderia), i quali la raccontano a un gruppo di clienti della lavanderia (tra cui spicca un vecchio saggio, un prete, un extracomunitaria  -penso per tutelare anche le minoranze etniche), che da buoni cittadini non vanno a una lavanderia solo per lavare i vestiti e poi si levano di ‘ulo, ma restano a sentire questa storia che ti prende fin dall’inizio per la sua originalità..e danno consigli sull’amore e la vita di coppia, anche il prete.

 

Voto: 4,5. Mezzo punto in più perché Gabri era ancora giovane e inetto. Era?

Vitellozzo.

 

 

 

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Libera Uscita

Bobby Farrelly, Peter Farrelly, Usa, 2011, 109 min.

Trama: Due mariti mattacchioni, esasperati dalla vita matrimoniale e monogama, ricevono un dono dal cielo: la possibilità (offertagli dalle loro mogli che si sono stufate della superficialità dei rispettivi partneersssss) di spassarsela per una settimana intera, considerarsi single, niente legami, solo divertimento e quello che succede succede. Peccato che succeda poco.

Il Film: 9.10 di sera. A casa. Ricevo un SMS. “Vieni da me si guarda Libera Uscita, filmone”. Ora, dato che quando si tratta di film da vedere  il tempo è denaro, e alla tele davano Departures, film già visto ma che fa sempre piacere rivedere, sono andato prima su wiki per sapere chi erano almeno i registi. Oh bene dai, i fratelli Farrelly. Esco di casa gaudioso, cioè, una merda non potrà essere,  questi hanno fatto Scemo e + Scemo, Tutti Pazzi per Mary, ma anche lo Spaccacuori che era bellino. Nella mia stupida foga mi sono però dimenticato di dare un occhio alla locandina, se fossi stato più attento avrei letto un “dai registi di Tutti Pazzi per Mary..” che deve necessariamente mettere sull’allarme. Non c’è modo migliore di attirare spettatori ad un film del cazzo, se non citando un film che del cazzo non è, e ci sono cascato come un coglione…un’esca da principiante. Diffidate di tutte le locandine il cui titolo rimanda ad altri film. Libera Uscita non è un granchè; ecco, non che sia completamente da buttare, due-tre battute forse un sorrisino te lo strappano, però niente a che vedere con le sopracitate commedie, ad esempio. E’ una commedia leggera, che dalla trama (o almeno dai presupposti) dovrebbe far ridere, ma che alla fine ti fa solo aspettare una scena  una almeno che ti faccia sganasciare, ma che non arriva, e quando te ne rendi conto il film è già finito e partono i titoli di coda. Manca di ritmo narrativo (in certi punti un po’ noioso), manca di brio, e manca anche un attore che catalizzi l’attenzione. Per dire, Una Notte da Leoni senza l’attore grassoccio con la barba non avrebbe avuto il successo che ha avuto (sequel compresi); in questo caso manca qualcuno così, anche meno coglione totale del “grasso con la barba” ma che ti faccia sperare che almeno lui una cazzata da ricordare la combinerà di sicuro. Invece no, qui è tutto molto blando, sa già di già visto. A onor del vero ammetto anche una certa antipatia nei confronti del povero Owen Wilson, il quale poverino non mi ha fatto nulla per restargli antipatico, ma lo trovo sempre un po’ fuoriposto e poco incisivo. Domanda: ma le babysitter in America le fanno tutte more strafiche e generose?

Voto: 5,5. Alla fine forse proprio per il fatto che questi mariti sciolti dal giogo del matrimonio non facciano poi chissà cosa sta la chiave del film. Sul finale emerge, infatti, l assioma che supera lo spazio e il tempo, che vale in ogni epoca: le donne riescono sempre a tirarcelo nel culo e a farci passare per dei coglioni. Ecco, era meglio Departures.

Vitellozzo.

 

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Il Marchese del Grillo

Mario Monicelli, Ita/Fra, 1981, 133 min.

Trama: Giusto per restare in tema d’attualità. Nella Roma pontificia di metà ‘800, Albertone nazionale veste i panni di Onofrio del Grillo, nobile al servizio del Papa, che se la spassa tra le macerie di una città decaduta, spendendo le sue ricchezze e il suo tempo nel divertirsi a spese di chiunque, dai porporati alla gente del volgo, al Papa stesso. Come Amici Miei, solo meno goliardico e più spietatamente cinico. Si può fare dai.

Il Film: Un classico della migliore commedia italiana di uno dei migliori registi italiani con uno degli attori italiani più amati di sempre. Ecco, quando mi capita di vedere delle commedie di merda, il che succede abbastanza spesso visto chi le produce e chi le gira, non c’è un modo più efficace di resettare tutto che guardarsi qualche vecchio film coi contro coglioni. In assenza del pispolino con la lucina rossa di Men In Black, è il meglio che possiamo fare.

Questo è un filmone. Punto. Il regista non si discute, Monicelli per me è sacro, non si tocca, tutti i film che ha girato, tutto quello che ha detto nelle varie interviste, tutto quello che fatto nella vita e anche come ci ha lasciati non sono opinioni, come la matematica. Negli ultimi tempi poi, nonostante l’età e la malattia era comunque di una lucidità spaventosa, sempre attivo, sempre giovane nei pensieri e aperto alle novità. Grande regista sì, ma prima ancora grande uomo. Monicelli mi manca. Ogni tanto me lo riguardo sempre un film di Mario, sarà perché da toscano ritrovo quella vena scherzosa, ma anche spietata e cinica che ci contraddistingue. In questo caso poi, c’è Albertone, tanto di cappello.

Se l’attore fosse stato un altro, il risultato sarebbe stato diverso. Il personaggio del marchese è abbastanza negativo:  si rifiuta di pagare un artigiano ebreo corrompendo mezza Roma solo per far vedere che su questa terra non c’è giustizia, prende delle monete da lanciare ai mendicanti e le scalda col fuoco per farli bruciare, si diverte a scambiare la sua identità con quella di un carbonaio rischiando poi di farlo ghigliottinare al suo posto ecc..Il problema è che le fa Sordi, non ce la fai a volergli male, sempre con quell’aria sorniona e piaciona, di uno che prende tutto alla leggera, che vede la vita come un gioco, in cui lui chiaramente fa la parte del leone, o meglio del signore a cui tutto è concesso perché io so io e voi non siete un cazzo, l’uomo di cultura che a Parigi farebbe un figurone, ma che invece sguazza da Dio nel popolino, tra bische e osterie. Mentre in Amici Miei tutto prendeva l’aspetto della goliardata, in questo caso Monicelli dipinge una maschera molto più crudele, proprio perché immagine di un mondo dove le iniquità sociali sono all’ordine del giorno, ritratto di una decadenza non solo fisica, ma anche di costumi. Non c’è morale, proprio perché non c’è lezione, se non quella secondo la quale i poveri restano poveri e i ricchi restano ricchi (con tutti i vantaggi del caso). Inutile dire anche che tutto è girato benissimo, oltre alla scenografia e ai costumi, tanti soldini spesi ma spesi bene, non buttati ai’maiale come nell’inutile ultimo Amici Miei tanto per restare in tema.

Voto: 4 punti per Sordi, 4 punti per Monicelli e mezzo punto per Paolo Stoppa, il Papa nel film, ma anche Sabino, l’usuraio più tirchio della storia del cinema. Totale: 8,5.

 Vitellozzo.

 

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Tutti Giù Per Terra

Davide Ferrario, 1997, Ita

urlTrama: Valerio Mastrandrea, ragazzo in crisi, nella Torino degli anni 90. Studia, no. Lavora, no. Amici, no. Donne, no. Però è libero, libero di non avere un cazzo da fare. Ma pressato da una società che non gli appartiene

Il Film: ho un debole per i film a bassissimo budget anni 90. Di quelli dove c’è giusto un paio d’attori, dove viene inquadrata una realtà, finalmente sporca, vera, lontana dalla bella vita dei Muccino brothers, e compagnia.

Valerio interpreta un classico ragazzo poco più che ventenne, che in due anni di università non ha dato nessun esame, che non si riconosce nei suoi coetanei, che non vuole accettare la vita del padre (Carlo Monni, e ho detto tutto).
Niente sembra poterlo distoglierlo dal suo stato di quiete/depressione, nemmeno il servizio civile in un centro d’aiuto per immigrati, nemmeno un lavoro in un supermercato.
Tra gli altri interpreti anche Benedetta Mazzini, che fa l’amica snob, e Caterina Caselli, la zia comprensiva.
Ottimo il montaggio, tra scene velocissime, e una voce fuori campo un po’ alla Ovosodo, di quelle fatte bene, con i pensieri del protagonista, non con spiegazioni inutili.

A condire il tutto una grande colonna sonora rock, curata dai CSI, (i quali appaiono in un simpatico cameo nei panni di una improbabile commissione d’esame). Nel cd sono presenti canzoni loro, dei CCCP, degli Ustmamò, dei Disciplinatha, dei Marlene Kuntz, degli Africa Unite.
Finalmente un po’ di anni 90, sudici, senza tecnologia, senza nulla, solo musica e Monni.

Voto 7: perla del poeta nel finale davanti ad un armadillo: “guarda che animali stronzi c’è in circolazione, in questo momento storico. Ma vaffanculo”

Capitano Quint

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Dieci Inverni

Valerio Mieli, Ita, 2009, 99 min.

Trama: 1999. Camilla (Isabella Ragonese) si trasferisce a Venezia per studiare all’università. Durante il viaggio incontra Silvestro (Michele Riondino), che cerca in tutti i modi di attaccare bottone con la ragazza. Prima semplici conoscenti, poi amici, poi distanti, poi di nuovo amici, poi amanti. Ci vorranno dieci anni per definire il loro rapporto, per fortuna noi lo vediamo in 99 minuti. Sennò sai che palle.

Il Film: m’è garbato. Al di là della storia, che comunque si lascia seguire in maniera piacevole e anche elegante – con loro due che durante i dieci anni/inverni si rincorrono, si cercano, ma sono sempre fuori fase, su due piani diversi, e solo alla fine, dopo esperienze varie che li hanno fatti maturare riescono a stare insieme – quello che forse mi ha fatto piacere questo film sono le inquadrature, e in generale l’ambientazione. Dapprimo una Venezia invernale, acqua, ghiaccio, neve, questa casina tutta da rimettere spoglia di tutto (anche se chiaramente con vista panoramica sulla laguna) teatro della nascita di un qualcosa tra due persone che ci metterà dieci anni per definirsi. Il rapporto tra i due ragazzi cresce con la casa: la prima notte lui ha con se solo un alberello secco (nota informativa, immagino sia un albero di cachi), lei una piantina, nella casa non c’è niente, solo delle coperte e poche altre suppellettili. Poi passano gli anni, e la casa si arricchisce, diventa più intima e familiare, come la conoscenza tra i due, fatta di corrispondenza incessante via mail quando lei è lontano (va a studiare in Russia) o quando sono entrambi nello stesso posto ma distanti per le vicissitudini della vita che li separano. E’ un film onesto, e vero, inquadrature che in certi punti sembrano quasi fatte da un amatore, un po’ smosse, che rendono tutto molto reale. Naturali anche i dialoghi, a tratti brillanti “Io sono Silvestro” “Camilla” “Camilla?? Bel nome Camilla!” “Davvero?” “Beh no, dicevo così per dire”. Riondino non mi convince mai troppo, nei film che ho visto mi è sempre sembrato molto teatrale, un po’ forzato, e anche qui in certe scene è caduto nel vizio, però in generale bene dai. Sulla Isabella devo dire che è sembrata molto convincente, ‘nsomma si vede che non si è improvvisata attrice ma che c’è una base sotto (anche se hai fatto un film di e con Fabio ti perdono dai, resterà solo una piccola macchia sulla tua carriera lo prometto). Per gli amanti della musica un po’ newagefaccioilganzocoipianofortemasonoancheunpoeta c’è una piccola ma significativa partecipazione di Vinicio Capossela, nella veste di se stesso credo, che suona a un matrimonio russo molto allegro.

Voto: 7-. Oh ragazzi il voto l’avete letto da voi, non c’ho niente da dire. Un film tranquillo, bellino e misurato nei toni. Ogni tanto qualcosa di bòno si tira fuori anche noi.

Vitellozzo.

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Questo Piccolo Grande Amore

Riccardo Donna, Ita, 2009, 110 min.

Trama: storia d’amore tormentata nella Roma dei 68ini tra un borgataro e una ragazza di buona famiglia. Piccolo grande film demmè.

Il Film: della serie tanto la sera non c’ho n’cazzo da fare e mi piace soffrire martellandomi i testicoli. Dico subito che della storia d’amore che nasce tra questi due disgraziati non me frega nulla, vi butto là un po’ di scene a caso per farvi capire su che livello siamo: loro due dopo 7 minuti netti di conoscenza sdraiati sul prato, lei con i capelli lunghi distesi a raggiera di pavone sull’erba, posa naturalissima (le cose che odio di più), lui che come primo appuntamento invita lei alla festa di compleanno della sua ex, un genio del crimine, lei che si fa le seghe mentali con la sua amica perché gli ha lasciato il numero di telefono troppo presto (ommioddio cosa succederà ora’) e successivamente si vergogna a baciarlo perché crede che potrebbe pensare male di lei, tutto anacronistico in maniera imbarazzante, lui che durante la leva militare preso dalla rabbia per non poterla vedere in un albergo vicino spacca un vetro (ribellione assoluta), ma poi quando torna a Roma e la trova con un altro piglia e va via, senza dire nulla, senza fare nulla. Loro due che alla fine del film (e della loro storia) guardano nel luogo dove si sono baciati due ragazzini che fanno lo stesso, come uno specchio alla come eravamo. Tutte scene penose e anche tristi, per un film che dovrebbe essere romantico siamo a cavallo.

Dico anche tra parentesi che negli anni ’70 erano vestiti molto ma moolto peggio di come vengono rappresentati (le foto dei miei lo testimoniano), e anche che a quanto pare è impossibile trovare attori romani de roma, dato che il film è ambientato lì, tutti perfetti nella pronuncia, menomale che lui è uno de borgata. Però questi son dettagli, alla fine che è un filmetto leggero e per i giovani lo sappiamo tutti, anche il regista che l’ha confezionato proprio per loro. Peccato abbia fatto l’errore enorme di ambientarlo negli anni ’70, gli anni delle manifestazioni giovanili, un pezzo di storia d’Italia che per chi non l’ha vissuto è quasi mitico. E i miti non si toccano. Il film si apre con una scena che fa tenerezza, una manifestazione appunto. Capelloni, pantaloni larghi, magliette di flanella dai colori improbabili, poi i classici striscioni di un’intensità e un acume che i manifestanti di oggi invidiano “no war!” “viva la pace” “no al nucleare!” (la mi cugina di tredici anni c’ha più fantasia), giornata di sole, sembrano tutti lì pronti per fare l’aperitivo in piazza, una manifestazione sentita insomma, poi il dramma: l’arrivo della polizia. Marciano tutti in fila tipo plotone del terzo Reich, su gli scudi, inizia la carica: non uno schizzo di sangue, me ne bastava uno, si vede che i manganelli son di gomma piuma, sembra di vedere giocare a guardie e ladri, tipo partitella aziendale scapoli-ammogliati. Come intro ci siamo dai. Vabbè oh, magari ora migliora, alla fine son passati solo 3 minuti scarsi, diamogli tempo. Ecco sì, il tempo di rendersi conto che il film si regge tutto sull’album omonimo di Baglioni del ’72, con le sue canzoni che fanno da voce narrante dall’inizio alla fine. Come Across The Universe, solo con Baglioni al posto dei Beatles, bello eh. Se qualcuno di voi pensava che quegli anni li fossero più sull’onda di Eskimo, non c’hanno capito un cazzo e hanno buttato via l’occasione di viverseli non con Guccini, ma con Baglioni, l’unico vero rappresentante della voce del popolo rivoluzionario. Esticazzi.

Voto: 3. Nota di folclore: ero quasi addormentato sui divano, a un certo punto sento un “Ciardulli!” pronunciato da qualcuno nel film, allora m’illumino e il primo pensiero è stato oh vai magari ora spunta fuori Tony Brando di Compagni di Scuola, così si ride. Poi ho realizzato che l’amica di lei nel film ha lo stesso cognome del mio Tony. Il secondo pensiero è stato ma chi me lo fa fare di vedere sta merdina qui, così mi son sparato Compagni di Scuola per davvero, commedia vera, no come questa.

Vitellozzo.

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Il Giorno In Più

locandinaTrama: film con Fabio Volo, tratto da un libro di Fabio Volo. Come dice il grande Finocchiaro: “famme capi’…che ce voi convince che la merda è bona?

Il Film: Scene finali:
Lui va per la quarta volta a New York per cercare lei (Isabella Ragonese), non la trova nel suo appartamento,  le scrive una lettera dandole un appuntamento, la mette in un libro, e se ne torna a Milano, pronto a tornare a NY qualche giorno dopo, tanto costa poco. Lei però si è trasferita a Chicago e tutta la roba rimasta nel suo appartamento viene indirizzata verso la discarica. Ora, a stare bassi, penso che la discarica di New York sia grande quanto tutta Firenze, però ovviamente il libro capita nel punto meglio, con vista panoramica sulla città. Un barbone lo trova e lo va a vendere ad un mercatino, una donna lo ruba dalla bancarella, e quando lo apre getta la lettera in un cestino della spazzatura. Ricordo che siamo a New York eh, una delle città con più gente al mondo, immaginiamo quanti cestini ci possano essere. Mega colpo di vento che fa volare solo la lettera tra tutte le carte nel cestino. La lettera vola, vola, e te sei lì che pensi: “se finisce a lei mi incazzo… se finisce a lei mi incazzo”, ed invece arriva ad un venditore italoamericano di hot dog, che la legge e si preoccupa di ritrovare il luogo di lavoro della ragazza, e di fargliela mandare a Chicago. Ce lo vedete no un ciccione che vende hot dog che raccatta uno degli 8miliardi di pezzi di carta per terra e va a farlo spedire?

All’appuntamento Fabio Volo trova proprio lui, che gli spiega l’accaduto, senza dargli speranze sull’avvenuta consegna. Fabietto è rassegnato, c’ha provato, gli è andata male stavolta.
Ed invece chi c’è alle sue spalle?? La stessa sorpresa di quando all’Isola dei Famosi, Pappalardo si doveva girare, stupito, all’arrivo della moglie, ma si girò troppo presto e non c’era nessuno. Poco dopo si dovette rigirare di nuovo facendo finta di essere sorpreso ed emozionato perché proprio non se l’aspettava. Ma almeno lì ho riso.

Voto: 3 ho una foto di una scritta su un muro: “l’amore è quella cosa che mannaggiàcristo” .
C’è più verità in questa frase che in tutti questi film d’amore idioti italiani in cui tutto va bene a tutti per forza.

Capitano Quint

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Mangia Prega Ama

Ryan Murphy, 2010, Usa

47614Trama: La classica 40enne americana, Julia Roberts, decide di mollare la sua infelice vita di riccona e bellona nel suo attico di New York, per fare tre viaggi dedicandosi solo a se stessa: Italia, India, e Bali.

Il Film: di tutto il film non me ne frega niente, una serie di banalità. Per gli amanti delle commedie romantiche diciamo che in India lei trova la pace spirituale, e a Bali trova l’amore con Javier Bardem.
Quello che davvero mi ha interessato è il primo viaggio, quello in Italia, che ci dà proprio l’idea di come siamo visti dagli americani. Ovvero dei dementi.

Andiamo con ordine: iniziamo con “cartolina n1” di tutta Roma al tramonto.
Poi la casa, affittata da una vecchia, che parla siciliano (il dialetto romano in America non è evidentemente noto, quindi puntiamo sul richiamo a Il Padrino), e che scalda l’acqua con la teiera per poi riempire la vasca. Informiamo l’America che da noi esiste l’acqua calda dalle condutture. Non si sa in quale lingua comunicano una vecchia e una newyorkese, ma riescono a dirsi stronzate sull’importanza di una famiglia tradizionale.
Giro per Roma, i bar affollati da uomini d’affari in giacca e cravatta (perché?? Ma metterci un ciccione con la maglia di Totti era troppo complicato?). Primi dolci alla crema mangiati. Ragazzi per strada che inseguono ragazze dicendo a’bbone e facendo inutili gesti con mani e baci. Statue del Bernini, con fisarmonica di sottofondo. Cartolina n2 di Roma al tramonto. Gelato con suore accanto. Risata idiota. Colosseo. Donna al ristorante che mangia prosciutto e fichi (???). Frittura insieme a Luca Argentero che le insegna intense nozioni di latino, come SPQR, e Carpe Diem. Cartolina n3 di Roma al tramonto. Argentero ci prova. Lei gli dice buonanotte. Piatto di spaghetti al pomodoro al ristorante. Li fa la mi nonna quando non c’ha nulla in frigo. Nevicata di parmigiano a rallentatore con opera lirica in sottofondo, tipo spot Barilla. Chiesa. Non inquadriamo Caravaggio, ma un crocifisso qualsiasi. Incontro con uno che si chiama Luca Spaghetti, che spiega il dolce far niente. Finalmente qualcuno parla romanesco, un vecchio barbiere che dice che “a Roma parlamo coi gesti, movemo le mani”. Scene di gente che fa inutili gesti, e la Roberts che li imita. Ordinazioni a caso al ristorante. Scelgono la parola che identifica Roma: sesso. Si va a Napoli. Pizza n1. Musica napoletana. Panni stesi per strada. Pizza n2. E’ buona. Ritorno a Roma, partita della Roma. Argentero che ci illumina sulla “perfetta domenica italiana: calcio e chiesa”. Cartolina n4 di Roma al tramonto. Lei riesce a cucinarsi un uovo sodo. Riflessioni sulla sua vita. Ma, prima di andarsene, cartolina n5 di Roma al tramonto. Spostamento in Toscana. Casa di campagna, cena tutti insieme. Altre banalità sulla famiglia tradizionale. Ringraziamenti a Dio. Colazione con tacchino all’americana. Fine.

Voto 3: Siamo a metà film, poi va in India, poi a Bali. Vai dove ti pare. Mangia, prega, ama, fai quello che vuoi, ma per favore non fare sti film del cazzo.

Capitano Quint

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I Primi Della Lista

Roan Johnson, 2011, Ita

48742Trama: Una storia vera. Pisa, 1970. Gli studenti di sinistra, le manifestazioni, le bombe, l’esercito, i fascisti. Un giovane chitarrista si lascia convincere dal cantautore Pino Masi, ad andare con lui, ed un altro amico, verso il confine, per sfuggire ad un vicinissimo colpo di stato fascista che presto avrebbe ribaltato l’Italia. Finiscono in una galera austriaca.

Il Film: commedia divertentissima, sarà perché questi 3 sono pisani, sarà perché è così assurda, sarà perché è tutto vero. Parto dal finale che è davvero molto bello, con i tre protagonisti del film messi accanto ai tre veri personaggi, ormai anziani, ma si vede dalle facce che sono sempre molto svegli. Pino Masi è un cantautore che non conoscevo, che ora chiede l’elemosina per strada, ma che una volta sembra abbia collaborato con Pasolini, Dario Fo, Stratos, e anche Fabrizio De Andrè, quindi magari non è proprio un bischero. Nel film è interpretato da Claudio Santamaria, ed è il classico musicista impegnato dell’epoca, sempre fissato con la lotta di classe, sempre contro lo stato e l’esercito fascista. Gli altri due ragazzi lo seguono solo perché affascinati dal suo carisma, e si ritrovano così a credere che svariate truppe militari stiano per marciare su Roma per fare un golpe, e a pagarne le conseguenze, come i primi della lista, sarebbero stati proprio loro, gli intellettuali di sinistra. I tre decidono quindi di dirigersi verso la Jugoslavia, per poi raccontare nei loro concerti la situazione politica italiana.

Ecco queste erano le intenzioni.
In realtà in una divertente scena, forzano il posto di blocco al confine con l’Austria, pensando di poter essere accolti come rifugiati politici, finendo nella vicina prigione, e scatenando un caso diplomatico. Sul giornale si riporta la notizia: “Tre pisani sfondano in Austria, armati, feriscono un carabiniere”. Dopo vari giorni in cella, e dopo gli accertamenti del caso, le istituzioni austriache provano a spiegargli che in Italia non è mai successo nulla, e che le truppe dirette verso Roma, si recavano in realtà alla parata del 2giugno. La telefonata del Masi ad un amico conferma tutto: “oh Pino grande, ma dove sei? Come qual è la situazione qui a Pisa? Tutto bene! Ieri s’è beccato due danesi, c’è i sole, ci si diverte, ahah ma te ndo sei?”
Il dramma, la preoccupazione, “chissà come ci piglieranno per i’ culo a Pisa”, “ir mi babbo mi smusa”. Però loro sono musicisti, e con una chitarra in mano, usciti di galera, non si può che suonare De André.

Voto 7, 5: bellino, ironico, ben fatto, e che ci si creda o no, una volta tre pisani senza documenti, e senza motivo, hanno davvero chiesto asilo politico all’Austria.

Capitano Quint

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Amici di Letto

Will Gluck, Usa, 2011, 109 min.

Trama: Una storia solo di sesso tra Mila Kunis e Justin Timberlake che si trasforma col tempo in una storia d’amore, il tutto all’ombra di New York. Solita commedia romantica demmerda.

Il Film: Considerazione generale che vale un po’ per tutti i film di questo tipo: secondo me sono proprio sbagliati alle fondamenta. Sono troppe le cose assolutamente poco credibili e direi anche irritanti che mi tocca vedere nelle commedie. Mentre su altri generi di solito non batto ciglio se vedo situazioni alle volte surreali, proprio perché nei film mi aspetto di vedere qualcosa che nella vita reale non succede, questa considerazione non vale per la commedia. Queste traggono spunto da situazioni che potenzialmente possono riguardare tutti, sketch più o meno divertenti, parenti strambi, situazioni paradossali, e la storia d’amore. Ultimamente invece, le commedie da blockbuster fanno di tutto per essere incredibili nella maniera più patetica. Per prima cosa gli attori scelti non vanno bene, e questo film ne è l’esempio. Ecco, due attori così rendono tutto assurdo, il fatto che Justin Timberlake e Mila Kunis non riescano a trovare la persona ideale è roba da fantascienza, non esiste sulla terra, troppo belli tutti e due per non avere la fila davanti alla porta di casa. Dovrebbero metterci due attori “normali”, non due da copertina, giovani, in carriera, indipendenti e spigliati. Oh ragazzi, ma uno dei re delle commedie negli anni ’80 era Billy Crystal, che poteva essere tutto tranne che bello, o anche da parte femminile una Meg Ryan anni ‘90, che è comunque una bella donna ma non al livello della Kunis. Ti davano cioè l’idea che potessero essere persone comunque raggiungibili, che anche a te povero stronzo  poteva capitare nella vita una cosa del genere. Oggi no. Oggi funziona che il protagonista deve per forza fare un lavoro alternativo artistico sennò non va bene, l’operaio  o l’impiegato gli fa schifo agli sceneggiatori. Oggi funziona che i genitori devono essere più bambini dei propri figli (tipo la mamma di Jamie, che fa tutta l’amicona “e sbatti qui e scopa là”, ma che cazzo è). Ma soprattutto, non esiste nell’universo e non esisterà mai nemmeno se lo vedo che una come Mila Kunis voglia avere un tromba-amico, e ne senta addirittura il bisogno (e Justin si sacrifica piccino della serie se proprio mi tocca lo fo). Passi la casa d’infanzia di lui, sul mare di Los Angeles (fanno colazione direttamente sulla sabbia,la classica abitazione dell’americano medio), passi la mamma sopracitata che ricopre il ruolo che odio di più per un genitore, e cioè quello easy e da eterno bambino. Passi addirittura il dramma di Dylan con il padre malato di Alzheimer; mi vogliono convincere che anche se sei Justin Timberlake le cose vanno comunque male, infilandoci dentro il lato triste della vita, poveri illusi non ci crederò mai, stronzate, Justin se la spassa e anche alla grande. Ma che questi due c’hanno problemi a trovare uno/una che non siano degli idioti totali proprio non passa. L’unica cosa bella del film son le inquadrature dei pezzi di carne di Mila, che abbondano, forse per sopperire ai dialoghi imbarazzanti, non tanto sotto l’aspetto recitativo (su quello non ci sono dubbi), ma proprio a livello di contenuti, non sanno d’un cazzo.

Voto: 4,5. La scena in cui fanno all’ammore nella casa al mare, dopo mesi che c’hanno dato dentro come animali, l’ho trovata penosa, non è sesso è amore, ma vaaccagheerr.

E’ un film distruttivo e basta. Se lo vedi da solo ti piglia male perché Mila Kunis è a un continente di distanza. Se lo vedi con gli amici non ce la fai perché sei sommerso da commenti del tipo lei la spaccherei tutta ecc…Se lo vedi con la tua ragazza è anche peggio perché quando finisce il film e ti giri vedi che non è Mila Kunis, la lacrima di sconforto è d’obbligo (il trauma inverso penso sia meno devastante, come Justin se ne trovano un po’ di più).

Vitellozzo. 

 

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Babbo Bastardo

Terry Zwigoff, Usa/Ger, 2003, 91 min.

Trama: Willie (Billy Bob Thornton) e il piccolo Marcus (Tony Cox) ogni Natale si travestono rispettivamente da Babbo Natale e da elfo suo aiutante, si fanno assumere da un grande centro commerciale e poi lo svaligiano la sera della vigilia. Nonostante la personalità spesso distruttiva di Willie e l’avventatezza di Marcus, i due sono una coppia molto affiatata, e anche quest’anno sperano di fare il colpaccio. Si sbagliano, perché non hanno considerato un direttore troppo spaventato, la guardia furbetta e un bambino incredibilmente grasso.

Il Film: Della serie “film da vedere durante le feste natalizie ma da bollino rosso”. Se vi piacciono le storie sul Natale, ma vi siete rotti un po’ il cazzo di guardare quelli troppo zuccherosi, con Babbo Natale che guida le renne e alla fine nevica sempre, questo va visto. Cioè, è chiaro che c’è Babbo Natale, che c’è il bambino, che ci sono i regali, però non è proprio consigliato per i più piccoli, Billy Bob Thornton è perfetto nella parte da Santa Claus per necessità, cattivissimo. Se dovessi immaginare un Babbo Natale ora che son grande, cinico e disilluso, sarebbe proprio così: ubriacone maniaco sessuale molesto sacrilego e ladro. L’idea è geniale, farsi assumere dai centri commerciali e poi svaligiarli, coi nano che si infila nei condotti d’areazione per disattivare l’allarme. Thornton deve sì aprire la cassaforte, ma intanto deve anche fare il classico Babbo da centro commerciale americano, che fa sedere i bambini sulle ginocchia e ascolta i regali che vogliono ricevere. Presentarsi ubriaco fradicio e scoparsi le clienti ciccione nei camerini fa parte del pacchetto oh sì ah, ti faccio cagare a spruzzo per una settimana. Poi ci sarebbe anche la “storia” del colpo da fare a questo centro commerciale, con il direttore (John Ritter, pace all’anima sua) che comincia a nutrire dei sospetti sulla coppia, e va dal capo della vigilanza, che ci mette due giorni a scoprire cosa vogliono fare e vuole una parte del malloppo pure lui. Colpi di scena vari e poi il finale, con la rapina che va a puttane. Però in verità il film lo regge tutto il personaggio di Thornton (fermo restando che un nano vestito da elfo ha sempre un suo perché), e la cosa più bellina da vedere è proprio il mutare dell’atteggiamento verso il bambino protagonista della storia.

Troppo scurrile per essere vero, a volte uno si chiede se sia veramente un film di Natale, ma poi entra scena il bambino co-protagonista e allora si apre quello spiraglio che ti fa vedere in fondo in fondo che un cuore ce l’ha anche questo Santa Claus, e che la frase universale a Natale siamo tutti più buoni  vale anche per lui. Il bambino (non ha un nome) che va al centro commerciale per parlare con Babbo Natale e invece si trova davanti un finto Babbo, sudicio e sfatto, ma ci crede comunque, anzi l’aspetta fuori fino a notte fonda e si fa accompagnare a casa sulla sua macchina scalcinata e piena di bottiglie (vuote) di alcol, sarà la rovina lavorativa di Willie. Quando vede che il bambino non ha genitori e l’unica sua tutrice è una vecchia rimbambinita, all’inizio ci mette cinque minuti a prendere un po’ di soldi e (poi) a stabilirsi lì per un po’ insieme a un’amichetta. Grosso errore. Perché tra una cattiveria e l’altra il bambino riesce a scalfire la corazza di Willie, e alla fine il cinico criminale è capace anche di una buona azione: regalargli un elefantino rosa di peluche, quello che il bambino gli aveva chiesto. Anche se la rapina va a puttane, anche se Willie si ritrova braccato e senza vie di fuga, cerca in tutti i modi di portare  il peluche al ragazzino, anche quando gli sparano alla schiena diversi colpi; c’è lui che finisce disteso in terra e tenta di raggiungere la porta di casa, allunga la mano con l’elefantino sporco di sangue, ma non ce la fa, e crolla  circondato dalle guardie.

Per me poteva finire qui, con lui in terra che non si sa se sia vivo o morto, ma il fatto che poi mi facciano vedere che sopravvive e anzi lo scarcerano (la notizia dell’aver colpito un Babbo Natale la sera della vigilia mentre portava a casa un regalo scuote l’opinione pubblica), con il probabile suo ritorno a casa a badare al piccolo, non cambia l’opinione positiva che ho del film, anzi, il lieto fine lo rende proprio un film di Natale.

Voto: 6,5. Ripeto, non è da bambini né per quelli che si scandalizzano per le volgarità abbastanza gratuite (anche se chi segue questo blog da un po’  è sufficientemente preparato per reggerne la visione). Si nota subito l’impronta dei fratelli Coen come produttori, Babbo Bastardo ha qualcosa in più rispetto agli altri film  dello stesso tipo. Non so se questo qualcosa in più abbia per tutti una valenza positiva – può anche non piacere a chi vede lo spirito del Natale solo in un certo modo – però è qualcosa di diverso che non fa male in un genere forse troppo stereotipato e alla lunga noioso.

Vitellozzo.

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Il Principe Cerca Moglie

John Landis, Usa, 1988, 116 min.

Trama: Eddie Murphy e Arsenio Hall diretti da Landis in una delle commedie più belle di sempre.

Il Film: Secondo me qua siamo di fronte al miglior Murphy, migliore anche di quello eccezionale visto in Una Poltrona per Due (sempre di Landis, sarà un caso?). Il film lo regge tutto lui, presenza costante, nel personaggio principale di Akeem, ma anche in quello di Randy Watson – il lontano cugino di Michael Jackson, scena immortale – e dei due vecchi Saul e Clarence che discutono sulla boxe, aspetta un minuto, aspetta un minuto! Un uomo ha il diritto di cambiarsi il nome come, quando e con qualsiasi nome vuole e se un uomo decide di chiamarsi Muhammad Alì, fottutissima miseria, questo è un paese libero e il suo desiderio va rispettato e quell’uomo va chiamato Muhammad Alì!. Quando non c’è Eddie, c’è Arsenio Hall, spalla fedele, che in realtà dice due battute in tutto il film, però è fondamentale lo stesso, come quando nel locale se ne sta accanto a Murphy a conoscere le ragazze che il Queens ha da offrire loro (io da parte mia mi prendo le gemelle: ci chiamano Peach/ siamo due gemelle/ ogni dj ci tocca le mammelle, rappato), scena copiata (male) dal nostro Leonardo in Fuochi d’Artificio. Al di là della trama – è una commedia romantica, potete immaginarvi come possa finire – è tutto l’insieme di situazioni attorno alla storia pilota che porta questo film su un altro livello rispetto alle stesse di quegli anni, e anche a quelle odierne. La cordialità del padrone dell’appartamento un vero cacatoio dove i nostri amici vanno a vivere, ehi Stu! Il tuo affitto è scaduto merdoso!, è inutile che rotoli giù dalle scale per farmi intenerire, non attacca figlio di puttana!, la diligenza con cui le ancelle di Akeem si prendono cura della sua igiene “il pene reale è lindo signore”, la presentazione della futura sposa scelta dai genitori attraverso un esibizione di amazzoni e il canto di Oha, servo fedele del re, tutto fatto bene, tutto perfetto.

Per chi ha visto il film  (chi non l’ha ancora visto è obbligato a portare una giustificazione scritta dai genitori perché non è possibile, siamo nel 2012 cristo) si starà chiedendo se non mi sia dimenticato di citare le “due” chicche del film, dove Landis cala l’asso e non ci puoi fare nulla, piglia e porta a casa. Non me ne sono dimenticato, e li calo ora. Io dico che se in qualsiasi parte del mondo civilizzato uno si provasse ad accennare la musichetta di Soul Glo tutti saprebbero di cosa di tratta, la pubblicità più famosa mai inventata tra tutti i film del cinema americano. Provate a digitare sul motore di ricerca queste due parole e vi verrà fuori un universo infinito fatto di riedizioni della stessa pubblicità ad opera di fan (poco sani di mente ma questo non conta), di magliette, di gadgets, di tutto. Solo lo sketch di Soul Glo vale come tutto un film con Adam Sandler. Seconda ciliegina: il filo diretto con Una Poltrona Per Due. Verso la fine del film Akeem lascia un fascio di dollari a due barboni, i quali non sono altro che Rundolph e Mortimer, caduti in disgrazia ma che adesso potranno così risollevarsi e ricominciare la scalata al potere.

Si potrebbe poi anche parlare di quanto Landis metta in ogni film giusto una puntina ironia nera, come l’atteggiamento del signor McDowell (non McDonald, McDowell!) verso i due africani, quasi da uomo bianco dominante quando in realtà è afroamericano pure lui, ci si potrebbe anche soffermare sul ritratto che il regista da di certi quartieri delle grandi metropoli, proprio senza legge abbandonati a se stessi, ma dubito che uno debba aggrapparsi a quest’ultima ragione per vedere il film. Gli sketch sopracitati bastano e avanzano non solo per guardarselo in Tv quando c’è (e ora per le feste state sicuri che lo mandano), ma proprio per comprarsi il Dvd. Io l’ho fatto.

Voto: 8+. Capolavoro della comicità, non stanca mai. Io ogni tanto me lo riguardo e rido sempre sulle stesse battute come un coglione. Della serie Matricole & Meteore (a momenti dovrebbe partite la Starman del Duca), il film lancia per la prima volta sullo schermo due attori che poi diventeranno anche loro famosi: Cuba Gooding Jr., il primo cliente appena i due entrano dal barbiere, e Samuel L.Jackson, il rapinatore messo K.O da Akeem al fast food.

Vitellozzo.

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Una Poltrona Per Due

John Landis, 1983

unapoltronaperdue_usTrama: se non conosci la trama, esci dal blog.

Il Film: cercando di battere sul tempo Mediaset, con l’avvicinarsi del Natale (del male), è necessario ritirare fuori questo capolavoro di Landis.
Quello che annualmente viene proposto come classico film natalizio, sulla bontà natalizia, sul volemose bene, è in realtà qualcosa di molto più grande. Viene dato a natale solo perché si svolge in quei giorni e in una scena c’è Dan Aykroyd con il cappellino rosso, non vedo altre spiegazioni, se non l’incompetenza di quelli di mediaset, che ancora non hanno capito che il film è una dura critica a tutti i ricconi finanzieri che fanno parte di una società corrotta, proprio come i capi di mediaset.

Comunque, restiamo sul quel genio che è Landis, dandogli tutti i meriti che gli spettano. Primo fra tutti, bisogna dirlo, è quello di ufficializzare Eddie Murphy come una delle stelle degli anni 80, sicuramente la più brillante nella comicità. Dopo l’esordio con Walter Hill in 48ore, qui Eddie dà il meglio di sé, le scene iniziali in cui lui fa il barbone cieco senza gambe sono incredibili (“ci vedo!! io ci vedo!! E ho anche le gambe!! Gesù, miracolo!!”). Gli altri attori sono il grande Dan Aykroyd, le super tette di Jamie Lee Curtis (c’è anche il resto del corpo di Jamie), e i due vecchi che fanno la famosa scommessa da un dollaro.

La vera protagonista del film (oltre al topless di Jamie), è la cattiveria. Non solo dei due ricconi che decidono di fare la scommessa di rovinare un ricco uomo d’affari, sostituendolo con un barbone, ma anche quella che contraddistingue tutti i personaggi. Dan Aykroyd all’inizio è perfido con la bella prostituta Jamie, Eddie non ci pensa due volte a prendere tutta la ricchezza che gli è piovuta dal cielo (-“Idromassaggio signore?” – “Ecco lo sapevo che eravate tutti finocchi, non mi mettete le mani addosso!”), e quando i due scoprono l’inghippo, decidono di rovinare a loro volta i due vecchi, prendendogli tutti i soldi. Nel finale, quando sono a godersela al mare, si capisce che tutti quei soldi non è che l’hanno dati in beneficenza, mossi dallo spirito natalizio, anzi, se li tengono per loro e vissero tutti felici e contenti. Senza storie, è un cane che si morde la coda, io ti odio perché hai i soldi, ma se li avessi io, farei come fai te. Abbastanza attuale Landis.
Tutto questo è nascosto dalle mille scene comiche, una su tutte Eddie Murphy vestito da africano che urla cantando sul treno.

Voto 8: la chicca è in Il Principe Cerca Moglie, dove un ricchissimo Eddie dona dei soldi a due vecchi barboni. Sono proprio i due fratelli Duke, che intendono così ricominciare la scalata al potere

Capitano Quint

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Scrivilo sui Muri

Giancarlo Scarchilli, 2007, Ita

locandinaTrama: qualcosa tra Moccia, i Cesaroni, e la volontà di essere veramente trasgressivi come una storia d’amore con la Capotondi. Con qualche scritta sui muri.

Il Film: La storia d’amore è tra l’imbarazzante e il penoso, come qualsiasi film con la Capotondi, alla quale qui si aggiunge il biondino dei Cesaroni, e un altro che dovrebbe essere il bellone della situazione. Classico triangolo, classica scena dell’amico innamorato che becca gli altri due a baciarsi, “pezzi demmerda”. Perché ovviamente per rendere il film più trasgressivo possibile, essendo loro una terribile baby gang romana, non c’è modo migliore che riempirlo di “a stronzo, a testa de cazzo, vattene affanculo, cazzo ce stanno le guardie” etc etc. Personaggi inqualificabili, uno peggio dell’altro, addirittura l’amica di lei, è interpretata niente di meno che da Dolcenera, ed insieme si esibiscono in una scena di forte impatto emotivo: scrivono su una macchinetta del caffè una delle scritte più violente di sempre, “il vostro caffè fa schifo”, e se ne vanno anche ridendo soddisfatte per aver preso coscienza della loro indole vandalica.

E qui c’è il secondo grande problema (o il primo). Se il film si chiama Scrivilo Sui Muri, si presume che questi siano dei writers, attività che ormai in tutto il mondo si alterna tra vera e propria arte riconosciuta, e scritte idiote, a volte geniali, a volte inutili. Tralasciando il fatto che in tutto il film non c’è uno che si metta una mascherina anti polveri, e che in tutte le scene c’è il murales già finito e loro fanno finta di continuare a spruzzarci sopra, cosa mai scriveranno questi ragazzi trasgressivi? Cazzo c’avranno 18 anni, chiaramente impediti a fare qualcosa di artistico, glielo vuoi far scrivere un “lazio merda”, un “w la fica” . No, questi vanno di notte nelle stazioni, braccati dalle guardie,  per fare dei cuori colorati e scrivere “no war”!! ma perché non ci scrivi anche viva l’amicizia, w lo sport, quanto è bella la vita.
Non te lo scrivo sui muri, ma te lo scrivo qui: bel film di merda.

Voto 3: per il ciclo alta tensione, loro rimangono bloccati con la macchina sulle rotaie, arriva il treno. Rallenty buttati qua e là. Schermo nero. Scena dopo: loro in ospedale con un braccio e una gamba rotti. Ci prendi per il culo? Se il treno non li avesse presi come mai sono ingessati. Se il treno li avessi presi, sarebbe stato meglio.

Capitano Quint

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Re Per Una Notte

Martin Scorsese, 1983, Usa

Trama: Robert De Niro è ossessionato dalla televisione. Convinto di poter sfondare come comico, prova in tutti i modi a farsi notare dal suo idolo, Jerry Lewis, finché non decide di rapirlo.

Il Film: flop enorme al botteghino per Martin Scorsese, e come spesso accade si tratta di un flop immeritato. Questo potrebbe benissimo essere uno dei migliori film di Scorsese per la sua tremenda attualità, nonostante sia dell’83, perché parla della questione principale nella società moderna: apparire in televisione.

Per tutto il film Martin ti fa notare tutte le perversioni e le convinzioni del protagonista, un uomo che in casa parla con dei cartonati di personaggi famosi, che vive ancora con la madre, che va a caccia di autografi, che è profondamente convinto di meritarsi un posto fisso come comico, perché sa che le sue barzellette andrebbero forte. Un uomo che non riesce a capire che la sua presenza ogni mattina alla portineria della produzione non è gradita, e che il suo nastro non verrà mai ascoltato da Jerry. Da qui al gesto successivo di tagliare la testa al toro e rapire lo stesso Jerry Lewis, per De Niro il passo è breve. Bellissima la scena di come gli entra in casa, con estrema tranquillità, come ha sempre sognato, come fosse un suo amico, salvo poi legarlo ad una sedia nella più totale goffaggine, ingenuità e imbarazzo, e obbligarlo a fare per lui la telefonata che gli garantisce una serata in televisione.

De Niro è in quella fase di grazia fine anni 70 inizio anni 80, reduce da capolavori quali Il Cacciatore, e Toro Scatenato, qui in un ruolo chiaramente molto meno fisico, non fa altro che prolungare la striscia di performance perfette. E sono rimasto piacevolmente sorpreso da un Jerry Lewis che, abbandonando il ruolo di idiota impacciato, tira fuori un interpretazione matura e seria.
Insomma bel film, attuale, incisivo, a tratti ironico e triste, una bella prova per Martin Scorsese, incassi a parte.

Voto 7.5: Morale finale, meglio re per una notte o buffoni per tutta la vita?

Capitano Quint

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