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Dead Snow

dead_snow_posterTrama: un gruppo di ragazzi va in vacanza su una montagna innevata della Norvegia. La stessa montagna dove fu sterminato un reggimento nazista durante la II guerra mondiale. Trovare il loro tesoro, e pensare di rubarlo senza risvegliarli, non è una grande idea.

Il Film: Dopo i nazisti sulla luna di Iron Sky, e dopo le zoccole zombie di Zombie Strippers, ho finalmente visto anche i nazisti zombie.
Marci, putrefatti, e molto incazzati, con le loro divise militari, escono dalla neve a decine per uccidere questi poveri ragazzi. Splatter grandioso.
Motoseghe, martelli, accette, teste aperte, budella di fuori, tutto fatto benissimo, tutto fatto con ironia, come deve essere un film splatter, ovvero solo intrattenimento, senza moralismi.

Non sarà un capolavoro, l’inizio sembra essere lento e banale (il 70% degli horror moderni inizia con dei ragazzi in un posto sperduto), e scade a volte in scene troppo demenziali, o inutilmente serie, ma alla fine… un’ora e mezzo di nazisti zombie vestiti alla perfezione, con addirittura un gruppo di SS in divisa nera, che muoiono tra ettolitri di sangue, non la si vuole vedere??
L’importante è restituirgli tutto l’oro, perché tendono ad essere incazzati.

Voto 6.5: Da stimare per l’idea, e la realizzazione. Sempre meglio uno splatter divertente, che un horror che vorrebbe essere serio e che in realtà è na merda. Ein, Zwei, Die.

Capitano Quint

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Shining

Stanley Kubrick. 1980. U.S.A.

imagesTrama: Kubrick + Jack Nicholson, basta e avanza

Il Film: bisogna chiarire una cosa, se questo viene definito horror, allora tutti i film venuti dopo non sono horror, oppure se tutti gli altri sono horror, allora questo è qualcos’altro, qui si va oltre. Con questo film si chiude per me il discorso, si salva qualcosa in Italia, si salva Carpenter, e pochi altri, L’Esorcista e Alien ci sono già stati, tutto ciò che si vuole definire con cinema dell’orrore dopo il 1980, deve fare i conti con questo Kubrick, e quindi so’cazzi.

In primo luogo sottolineerei gli ambienti: la storia si svolge all’Overlook Hotel, dove Jack è stato assunto come guardiano per la stagione di chiusura invernale. L’albergo è immenso, a colpire sono le tremende geometrie delle tappezzerie anni 70, ogni stanza ha un suo colore, ogni salone ha un aspetto così regolare che Kubrick inquadra sempre facendo risaltare la perfetta simmetria degli arredamenti. All’interno regna il silenzio, il vuoto, la desolazione, all’esterno la notte e la tempesta di neve aumentano la sensazione di oppressione, ed esaltano il sinistro labirinto che sorge nel parco davanti all’hotel.

La musica: costantemente angosciante, alternata a brani di musica classica che danno un’aria di irrealtà, la musica cresce con la trama, si fa sempre più incisiva e sofferente. Un elemento fondamentale del film.

Gli altri attori (oltre a LUI): il bambino Danny, che per essere così piccolo è un fenomeno, stai dalla sua parte dall’inizio alla fine, soffri con lui, da quando parla con l’amico immaginario, a quando corre con il triciclo per i desolati e colorati corridoi dell’albergo, fino a quando ti ritrovi a urlargli di non entrare nella mitica stanza 237. C’è Shelley Duvall che mette paura da sola per quanto sta male,  c’è Scatman Crothers (il guardiano di Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo), che interpreta il capocuoco dell’Overlook, che condivide con Danny lo shining, la luccicanza, ovvero la paranormale capacità di vedere e sentire “cose”. E c’è anche Joe Turkel (Blade Runner) che ricopre il ruolo del barista, presenza che appare misteriosamente in due scene memorabili con Jack.

Le apparizioni: compaiono in scene che ti sorprendono sempre, non ci sono mai colpi di scena che ti fanno saltare dalla poltrona, sono tutte apparizioni dirette magistralmente da Kubrick, come appunto la scena del bar, o la ragazza nuda che bacia Jack nella 237 e con un incredibile effetto visivo si trasforma in una vecchia con la pelle marcia, o la scena dei bagni dove Jack parla con il cameriere che gli confida di aver massacrato moglie e figlie, ci sono proprio queste due gemelline, che il povero Danny si ritrova davanti e che lo invitano a giocare con loro per sempre (e intanto vai con fotogrammi flash di loro a pezzi tra pozze di sangue), e altre ancora in un crescendo di tensione e terrore.

Kubrick: la perfezione in ogni inquadratura, mai una cosa fuori posto, mai la telecamera troppo vicina o troppo lontana, sempre la scelta migliore in ogni sequenza, riprese dall’alto di una pallina che scorre verso Danny lanciata da non si sa chi, riprese dal basso di Jack che batte i pugni della porta chiusa della cella frigorifera, giochi di specchi continui, i tagli con le schermate nere, insomma secondo me questo è il suo miglior lavoro, per completezza, complicatezza, e profondità. Il lento zoom finale sulla foto incorniciata nel salone, prima dei titoli di coda, è un vero tocco da maestro.

E poi c’è lui, Jack Nicholson, me ne innamoro in ogni film, Qui ci regala una perla di interpretazione, tra risate folli, sguardi diabolici, tutto troppo, troppo reale. Se Kubrick è la prova che gli Oscar sono spesso una pagliacciata (ZERO personali), Jack è l’eccezione che conferma la regola: record di vittorie e nomination. Ma ovviamente qui non porta a casa nulla.

Voto: 9.5 ripeto, LA PERFEZIONE

Capitano Quint

P.s. Per quanto riguarda le voci su un possibile sequel, la nostra opinione è >QUESTA<

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The Wicker Man

Robin Hardy, 1973, UK, 88min

wicker+manTrama: un ispettore di polizia viene incaricato di indagare sulla scomparsa di una ragazzina in un piccolo villaggio su un isola, dove scoprirà che gli abitanti sono ancora legati a riti pagani.

Il Film: state alla larga dal remake del 2006 con Nicholas Cage. In generale da un film con Nicholas Cage, ma soprattutto dal remake di questo capolavoro, perché non è possibile replicare questa storia, anche se evidentemente è possibile farlo male. Anni ’70, un’isola sperduta in Scozia, solo nebbia e mistero, una comunità molto chiusa, in cui uno straniero che viene a fare domande non è gradito, a maggior ragione se è un poliziotto, che indaga su una ragazza, e soprattutto che è un convinto cristiano, intento a rimanere vergine fino alle nozze.

Per più di metà film il clima è teso, di sottofondo strane canzoni corali sui raccolti agricoli e sulla natura, gli abitanti sono falsamente gentili e molto riservati, nessuno sa nulla, nessuno conosce la ragazza, neppure la madre. La prima cosa stupenda che è si nota in questo film è l’inquietante attenzione ai particolari: in pasticceria i dolci sono a forma di animali, a forma di teste di montoni, o a forma piccoli uomini; alle pareti della locanda foto annuali di grandi raccolti e con al centro una ragazza. A questo ambiente solo all’apparenza tranquillo, inizia a sommarsi anche l’aspetto del tormento erotico, rappresentato dal contrasto tra il casto e puro protagonista, e la bionda e provocante figlia del locandiera che toglie il sonno al povero ispettore. Strane canzoni, ragazze nude che ballano, l’assenza di chiese, e il grande Cristhopher Lee che interpreta il capo della comunità, non riescono a far impazzire, che va avanti nelle sue indagini, troppo avanti, fino a rimanere coinvolto in qualcosa più grande di lui, un rito pagano fatto di sacrifici animali e umani. Quello che non si aspetta è che la creatura vergine da sacrificare non è la ragazza.

Tutta la festa del rito è bellissima e surreale, i costumi, le maschere, il paesaggio, tutto contribuisce a creare un’atmosfera mistica e spaventosa, fino all’apice di tutto, il grande falò dell’uomo di vimini, the WickerMan. E’ qui che c’è la vera svolta del film, non solo l’ispettore è condannato a bruciare vivo per omaggiare gli dei pagani e favorire il raccolto, ma è proprio quando ormai che le fiamme sono vicine che si mostra tanto stupido, e mentalmente chiuso dalla religione, quanto gli abitanti dell’isola: mentre loro intonano i loro canti, lui invoca la salvezza del suo Dio, convinto che cantare una preghiera possa salvarlo. Non c’è differenza tra le due parti opposte, tutti ugualmente oppressi e accecati dal rispettivo credo. Grandissimo film.

Voto 7/8: dopo la visione è necessario l’ascolto di The Wicker Man degli Iron Maiden. Anche prima della visione, anche sempre, l’importante è vedere il film e ascoltare gli Iron.

Capitano Quint

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Hannibal

Ridley Scott, 2001, GB/USA/Ita

Trama: sequel de Il Silenzio degli Innocenti. L’agente speciale Starling, interpretata stavolta da Julianne Moore, è alla ricerca del dr. Hannibal Lecter, che intanto sta portando avanti i suoi “interessi” a Firenze. Ma sulle tracce di Lecter c’è anche una sua ex vittima sopravvissuta molto vendicativa.

Il Film: lascia un po’ con l’amaro in bocca al pensiero di quello che sarebbe potuto essere, ovvero un film migliore, dato il regista e dati gli attori. E invece si rimane un po’ delusi. Soprattutto da due scene: l’apertura, e il finale. I dieci minuti di sparatoria iniziale sono veramente brutti e anche inutili all’interno della storia, salvo forse per il presentarci una Clarice Starling ormai matura, non più insicura, e con una nuova faccia quella di Julianne Moore al posto di Jodie Foster. Il finale invece è abbastanza senza senso. La cena con Ray Liotta a cranio aperto che mangia il suo cervello, rende purtroppo tutto poco credibile.

Nel mezzo tante altre cazzate, ma anche tante cose da salvare. Con metà film a Firenze, e metà in America, la cosa meno chiara di tutte è: parlano tutti italiano o sanno tutti l’inglese? Si telefonano da una parte all’altra del mondo senza problemi, magari si sono messi d’accordo prima su che lingua parlare. Ci sono poi tante piccole cose insensate, come Francesca Neri che si ritrova a leggere Dante davanti ad Anthony Hopkins, e riesce a farlo male. Giancarlo Giannini, bravissimo come sempre, che nonostante il film si svolga ai giorni nostri, si scopre essere stato da poco sospeso dal caso del Mostro. Bah, agli americani piacciono queste forzature sull’Italia…

Ma ci sono due cose che salvo in pieno. La prima è il notare come Ridley Scott, anche in un film inferiore alle sue capacità, riesca a mostrarci un’infinita tecnica con la macchina da presa. Mai Firenze era stata inquadrata in questo modo, lontana dalle cartoline incantate. Mai avevo visto Piazza della Signoria completamente vuota, i portici così tetri, il mercato del Porcellino così tenebroso. Anche per uno che come me ci vive, e vede questi posti tutti i giorni, riscoprirli così è un piacere. L’altra lode va chiaramente a sir Hopkins, magistrale nel suo ruolo, spaventoso nella sua calma, letale nella sua violenza. Qui ci mostra molto più sangue rispetto al capitolo precedente, senza comunque perdere una classe ed un’eleganza innata, che ritroviamo in ogni suo film. Il film lo regge praticamente lui da solo.

Voto 6: chicca finale nei titoli di coda, la vittima sopravvissuta a Lecter, un riccone sulla sedia a rotelle ormai completamente sfigurato ed irriconoscibile, è Gary Oldman che non perde occasione di regalare un’ottima interpretazione.

Capitano Quint

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Zombie Strippers

Jay Lee, 2008, Usa, 94min

Trama: In un laboratorio chimico militare si disperde un virus. Un infetto riesce a scappare e a raggiungere un locale di spogliarelliste, dove….no via, c’è Jenna Jameson, la trama non ha senso.

Il Film: facciamo contenti tutti i grandi critici esperti di cinema sul web dicendo che il film è una merda. Per tutti gli altri, il film è ovviamente consigliatissimo, per due semplici ragioni: è un b-movie splatter, e c’è Jenna Jameson. Il b-movie splatter regala sempre gioie perché dà garanzie, sai già cosa aspettarti e quindi non rimani deluso: una recitazione imbarazzante da parte di tutti gli attori, personaggi stupidi, una trama inesistente al servizio di sangue e tette. E che tette, visto che ci troviamo all’interno di uno strip-club, in cui le ragazze, diventando via via degli zombie, hanno l’istinto di scatenarsi ancora di più, e poi mangiare i loro clienti. Il rapido decomporsi dei corpi, induce lo spettatore ad una naturale deviazione verso la necrofilia, e quando le ragazze sono ormai inguardabili mostri, gli sceneggiatori decidono di far arrivare una squadra speciale dell’esercito capeggiata da due tettone, così, tanto per ristabilire le cose.

Non può essere considerato un film decente, ma comunque sono apprezzabili gli effetti visivi ed il trucco degli zombie, tutto fatto bene, artigianalmente e grezzamente come è giusto che sia. Per i palati più fini, bisogna dire che Jenna è già nella fase anoressia + lifting, fase che ha rovinato decisamente la sua estetica divina e indiscutibilmente perfetta degli anni ’90, ma: 1­­- possiamo notare che anoressia e mutazione in zombie colpiscono la carne, ma non il silicone; e 2- c’è lei che balla nuda, ti morde, e te diventi zombie, quindi immortale. Problemi a riguardo?

Voto: 4 ai dialoghi, 4 alla sceneggiatura, 8 all’idea, 8+ a JJ.
Media 6, bono dai

Capitano Quint

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La Cosa

John Carpenter, 1982, Usa

Trama: Antartico. Un cane in fuga trova rifugio in una stazione scientifica americana inseguito da dei norvegesi che stanno cercando di ucciderlo. L’equipe statunitense dopo una sparatoria e l’esplosione dell’elicottero norvegese, decide di dirigersi verso la base norvegese, dove troverà mostruosi cadaveri ed un enorme blocco di ghiaccio. Intanto il cane inizia una strana mutazione in un’orrenda creatura, la quale una volta bruciata, viene analizzata, e si farà strada  la possibilità che si tratti di un’entità aliena in grado di imitare e riprodurre le sembianze del corpo ospite. Il contagio sarà letale.

Il Film: Il mio film di Carpenter preferito. Uno dei migliori film di fantascienza di sempre. Un horror perfetto. Ed in più c’è Kurt Russell con la barba. Quello che rende questo film grande, è la capacità di Carpenter di immergerti completamente nella situazione come se tu fossi uno del gruppo di uomini bloccati nella base. Isolati da tutto, circondati da neve e ghiaccio, contro una minaccia invisibile. Questa è una caratteristica che ho notato in altri film di Carpenter, quella cioè di mettere una o più persone che non possono uscire da un ambiente chiuso: in Distretto 13 sono chiusi nella stazione di polizia con circondati dalle gang di strada, ne Il Signore Del Male sono dentro una chiesa, in The Ward le ragazze sono recluse nel manicomio, e così via. La particolarità che emerge dopo poco nel film è che gli uomini sono costretti a sospettare l’uno dell’altro, in quanto la Cosa può aver contagiato e replicato chiunque. Questo contribuisce quindi ad aumentare ancora di più il senso di stress, ansia, mistero, in chi guarda l’opera. A farci tranquillizzare comunque ci pensa sempre lui, Kurt Russell, che veniva dal film precedente con Carpenter, 1997 Fuga Da NY, e che qui si toglie un po’ l’aria da macho, e con la barba è veramente il protagonista perfetto, è lui il leader, è lui che usa il lanciafiamme, è dalla sua parte che ti schieri immediatamente. Da sottolineare gli effetti speciali. Così tipicamente anni 80, così grotteschi, corpi deformati, teste di silicone e lattice sciolte, viscidume, sangue, carne, una goduria per gli amanti del genere. Poi nonostante Carpenter spesso componga lui stesso le musiche (meravigliose) per i suoi film, essendo questa una grande produzione gli viene affiancato un compositore bravino, che a volte se l’è cavata, Ennio qualcosa, insomma: bene. Ironico tra l’altro come il film esca nel 1982, stesso anno di ET l’Extraterreste: uno lo ami da piccolo, l’altro non ti stancherai mai di amarlo. E chiaramente uno è stato un successo planetario, e l’altro un flop distrutto dalla critica.

Il film si regge comunque sull’infinita capacità tecnica e narrativa di Carpenter, i silenzi, i dubbi, la meschinità dei personaggi, gli improvvisi scatti di violenza, ed un finale magistrale. La base ormai in fiamme, solo due sopravvissuti, ovviamente Lui, e l’altro personaggio di colore, che si guardano ormai sospettosi di tutto, uno dei due potrebbe essere la Cosa, non saprai mai chi perché il film si chiude così, quello che conta è che ormai non c’è più fiducia e speranza in nessuno. Tutti contro tutti, un po’ come la società moderna. Carpenter avanti 30 anni come sempre.

Voto 9: Di una cosa sono comunque certo: la Cosa potrà prendere le sembianze di chiunque, ma non potrà mai imitare la barba di Kurt Russell.

Capitano Quint

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Alien

Ridley Scott, UK, 1979, 116min

Trama: Da vedere.

Il Film: lasciamo stare tutti i sequel, lasciamo stare la “saga” che ne è stata ricavata, lasciamo stare gli insensati Alien vs Predator. Questo film è un’altra cosa, sta per conto suo, vive da solo, senza che vari registi americani ne abbiano abusato per anni. Ridley Scott in una mia personale top 5 di film fantascientifici piazza due film, al primo posto Blade Runner, e a seguire, in compagnia de La Cosa di Carpenter, e del monolite di Kubrick, ci metto anche questo Alien, quindi direi che sono abbastanza di parte nel giudicarlo. E pensare che il progetto era pronto per Walter Hill, che invece lo passò a Scott, perché lui era impegnato a girare un altro capolavoro “I Guerrieri Della Notte”. Alien è la perfetta unione tra la fantascienza e l’horror, tra un grande regista, ed un artista fuori dal comune, Hans Ruedi Giger, tra una grande sceneggiatura e una realizzazione esattamente all’altezza.

Si può dividere il film in due parti: la prima di introduzione dei personaggi, di dialoghi, e di tranquillità. I sette stanno tornando sulla Terra, scherzano, discutono, su tutti si nota un possibile protagonista, il capitano Dallas. A sorvegliare la nave è anche un’intelligenza artificiale, Mother, (e qui torna Kubrik, con il suo Hal 9000), che capta un segnale. Questa prima parte si può concludere con l’arrivo sul pianeta da dove proviene il segnale e con il ritrovamento di una gigantesca astronave. In questa sequenza Scott utilizza anche un po’ di immagini registrate con una piccola telecamera a mano dagli astronauti, cosa che oggi va tanto di moda negli horror moderni, che ci permettono così di verificare la differenza tra farlo bene e farlo malissimo. Dentro l’astronave ci appaiono gli incredibili scenari dipinti da Giger, così gotici e desolati, dove al centro giace un enorme scheletro fossilizzato di un corpo alieno. Si inizia ad intuire che la realizzazione degli effetti speciali è di un’altra categoria. Vengono scoperti i bozzoli, l’uomo è curioso e stupido per natura, e ovviamente li deve toccare. Il pessimismo di Scott è chiaro già da questo, l’uomo tocca, l’uomo viene assalito. Stupendo l’essere avvinghiato al volto del povero Kane, che resta in coma con questo corpo sulla faccia per qualche giorno, sotto il controllo interessato dello scienziato Ian Holm,  finché questo non lo lascia misteriosamente libero. Se il clima di tensione sembra essere per un momento svanito, ritorna prepotentemente nella famosa e sanguinosa scena della fuoriuscita dal torace di Kane del piccolo Alien, che schizza via nascondendosi e facendo iniziare così la caccia. La questione su chi dia la caccia si chiude abbastanza alla svelta, quando viene ritrovata la muta del piccolo alieno presumibilmente cresciuto con rapidità. Viene fuori tutta la bravura del regista, le inquadrature iniziali silenziose della nave, vengono riproposte stavolta con il terrore degli uomini lasciati soli al loro destino, e dopo la seconda morte, arriva anche il momento del capitano, da solo, nei condotti bui d’aerazione, si ritrova in un lampo davanti al mostro. Mostro che ancora non viene visto per intero, ma solo in veloci tratti, perché quello che conta sono i momenti in cui non si vede, che sai che c’è, ma non lo vedi, è questa la vera parte horror. Bellissima è anche la sequenza che ci fa capire chi sia in realtà Ian Holm: la sua decapitazione scopre il suo interno fatto di fili e lattice, un robot mandato apposta per studiare e conservare il corpo alieno. La scena della testa mozzata che parla appoggiata sul tavolo accanto al corpo e impensabile se si guarda l’anno, 1979, troppo avanti per essere vera. E per una volta in un film il primo a morire non è il personaggio di colore, che anzi regge quasi fino alla fine. Rimane sola infine Ripley, che dopo aver deciso di far esplodere la nave e il mostro, e rifugiarsi nella navicella di salvataggio, si ritrova con questo nell’ultima stupenda sequenza finale, in cui il mostro appare rannicchiato e nascosto, ma sempre letale, alla ricerca anche lui di salvezza. Lo scontro finale ha un esito che sembra più dettato dalla produzione che aveva fiutato l’affare “sequel”, piuttosto che invece dal pessimismo del regista, che voleva la morte di Ripley, ma resta comunque un capolavoro per la tensione che trasmette.

Voto: 8.5/9 A volte gli Oscar sono meritati, ma purtroppo sono sempre pochi per chi li merita davvero. Premiati comunque Giger e Carlo Rambaldi per gli effetti speciali. E a pochi mesi dalla scomparsa non posso non citare un altro grande artista che ha collaborato alla realizzazione, Jean Giraud “Moebius”

Capitano Quint

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La Maschera del Demonio

Mario Bava, Ita, 1960, 87 min.

1214916205_lamascheradeldemonioTrama: Negli sperduti e lugubri paesaggi dell’Est Europa, due viaggiatori hanno la grande idea di profanare la tomba di una strega, risvegliandola. Una serie di violenti omicidi, fantasmi e antiche profezie si abbatteranno sulla sciagurata famiglia della discendente della strega, identica e bellissima come la sua antenata.

Il Film: Primo film di Mario Bava, primo maestro dell’horror italiano. Direi che come esordio è andato più che bene. Se la trama appare ormai vista e rivista, se la strega che vuole riappropriarsi di un corpo di una giovane ragazza è una storia abusata in altri mille film, bisogna pensare che è nato tutto da qui, quindi stima e rispetto a prescindere.

La bravura di Bava non sta nel cercare per forza il colpo di scena, o il momento che shocka e impressiona, ma nell’imporre un ritmo al film che ti permette di seguirlo bene dall’inizio alla fine anche a distanza di 50 anni. Gli scenari gotici e gli effetti visivi, realizzati con molta cura, sono i veri protagonisti del film, e aiutano a coprire qualche momento di recitazione non proprio esaltante. Brava invece la protagonista, Barbara Steele, che con i suoi occhi enormi, il collo sottile, e le dita affusolata sembra perfetta per il doppio ruolo di strega/ragazza. In più di un’occasione si nota infatti l’attenzione di Bava per il corpo femminile con inquadrature del collo nudo e scollature appena accennate che iniziano a mostrare quell’erotismo che deve essere parte fondamentale dell’horror. Lo sviluppo della storia e il finale sono abbastanza prevedibili oggi, e sfociano giustamente in un lieto fine con il classico momento di scontro con la strega, ma grande l’idea di farla giustiziare dal popolo, che si libera così dalle superstizioni di cui era oppresso.

Il vero capolavoro comunque è la sequenza iniziale, questa sì puramente horror, violenta, ed erotica, con la schiena nuda della strega marchiata a fuoco con la S di Satana, ed il boia con il cappuccio nero che le inchioda al viso con un martello la Maschera del Demonio (oggetto stupendo).

Voto 7.5: Incisivo, diretto, essenziale. Scorsese, Tarantino, Burton, hanno apertamente affermato di ammirare Bava, i Black Sabbath si chiamano così da un titolo di un suo film, Fulci e Argento gli devono tanto, sarebbe anche il momento di riscoprire questi classici.

 Capitano Quint 

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Lo Squartatore Di New York

Lucio Fulci, 1981, Ita

Trama: Un ispettore di polizia riceve una telefonata dopo ogni omicidio di una ragazza. A parlargli è una voce, quella di Paperino. Insieme ad uno psicologo e ad una giovane sopravvissuta, l’ispettore cercherà di trovare e fermare il killer.

Il Film: C’è una formula per un buon film horror primi anni 80? Se sì, Fulci l’ha trovata: sangue + tette + no al lieto fine. Nel 1981 il regista aveva già una quarantina di film alle spalle, ma solo da quattro o cinque anni si era dedicato esclusivamente all’horror. Già nel suo primo film di genere, Zombi 2 (rigorosamente con la “i” finale) sono ampiamente espliciti gli elementi di questa formula. Qualche bella ragazza, i seni tipicamente anni 70, tanto tanto sangue fatto bene (solo lui poteva girare lo scontro tra uno zombie e uno squalo) e un finale tutt altro che lieto e risolutivo. Se nell’ultima scena di quel film gli zombie si avviavano in massa sul ponte di New York verso la conquista della città, qui la grande mela vive un altro dramma, stavolta senza morti viventi, ma con un assassino che senza apparenti moventi o strategie sventra giovani e bellissime donne. Ora Fulci però deve fare i conti non con il pubblico (il film è andato bene anche all’estero), non con la critica (che per abitudine lo distrugge), ma bensì con la censura, che sembra abbia largamente contenuto le smanie del regista. Nella versione uncut sono presenti diverse scene di nudo integrale, di autoerotismo, e di sesso, ma sarebbe veramente superficiale etichettarlo per questo come b-movie, perché qui Fulci decide di concentrarsi maggiormente sulla trama, sul thriller, sulle indagini della polizia, sul giallo dell’identità dell’assassino, e anche sul suo dramma personale. La figlia malata di quest’ultimo che telefona in lacrime al padre dal letto dell’ospedale senza ricevere risposta è uno dei finali più tristi immaginabili, perché dopo aver fatto vedere l’assassino come un mostro, lo rigetta in una dimensione umana e dolorosamente privata che ti spiazza. E allora magari ti accorgi che proprio un pazzo maniaco incapace questo regista non è, che forse oltre a zombie decomposti e fiumi di sangue, ha una capacità di raccontare la disperazione, il pessimismo, e il terrore come pochi nella storia del cinema (basti pensare al finale di E Tu Vivrai Nel Terrore!L’Aldilà). Effetti visivi degli squartamenti fin troppo reali, attrici che si prestano a tutto, attori su cui possiamo sorvolare riguardo alla recitazione, e una sceneggiatura che sta in piedi dall’inizio alla fine. E proprio quando stavo notando come ancora non ci fosse stata una scena in cui Fulci si concentra, come fa sempre, sugli occhi, ecco che la lametta del rasoio scorre sul corpo della ragazza, sul suo capezzolo, sulla sua fronte… e le squarcia a metà l’occhio.

Voto 7.5: di splatter trash ne avrà anche fatti tanti, soprattutto nei suoi ultimi anni di carriera, ma rileggendo la numerosissima filmografia spiccano 4 o 5 titoli di livello superiore, e questo ne fa sicuramente parte.

Capitano Quint

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…E Tu Vivrai Nel Terrore! L’Aldilà

Lucio Fulci, 1981, Ita, 88min

Trama: il film inizia negli anni 20. In un albergo, un pittore accusato di occultismo e stregoneria viene violentemente massacrato, mentre lui continua a sostenere che sotto all’edificio ci sia una delle sette porte dell’inferno. Ai giorni odierni, una giovane ereditiera ha la brillante idea di ristrutturare l’albergo, incurante degli avvertimenti di una misteriosa ragazza cieca.

Il Film: Si può discutere sulla trama: il tema delle porte dell’inferno era già stato usato da Dario Argento, il voler utilizzare gli zombie è una scelta forse che segue le mode di quegli anni, la sceneggiatura ha sicuramente delle lacune nello svolgimento e nell’esposizione. Se ne può discutere, ma anche no. Perché tutto questo consente a Fulci di fare quello che vuole, ovvero concentrarsi sulla realizzazione di ogni singola scena, costruendola con estrema cura dei particolari. E solo uno spettatore che riesce a staccarsi dalla ricerca di una logica spiegazione di cosa stia succedendo, può godersi a pieno una fotografia perfetta, una scenografia visionaria, un trucco ed effetti speciali che toccano l’apice del cinema di genere. Citando il regista: “L’Aldilà è cinema di immagini, che devono essere assorbite senza alcuna riflessione”. Un grande riconoscimento va a Giannetto De Rossi che realizza delle maschere, e un trucco esemplari. Il sangue esce a fiotti da profondi squarci, la pelle tirata e straziata si stacca con avvertibile sofferenza, chiodi penetrano nella carne come mai avevo visto prima, il tutto inquadrato da Fulci con un crescendo di emozioni, dalla paura al dolore all’agonia,  che ci fanno sentire partecipi dell’azione (anche grazie ad una incalzante colonna sonora di Fabio Frizzi).

E il film scorre sostanzialmente così, frustate con catene, occhi cavati, ragni che mordono il volto di un povero Michele Mirabella, acidi che bruciano la carne, ragazze che urlano, e tanto sangue, ma con una perfezione e un gusto che non possono essere etichettati con superficialità in b-movie e trash. Anche in questo film si può notare come Fulci si soffermi sempre sugli occhi: a volte solo inquadrandoli sbarrati dal terrore, altre volte cavando un occhio con un dito, o perforando il cranio con un chiodo fino a far fuoriuscire l’intero bulbo, e altre volte rendendoli completamente bianchi e assenti. Il finale si perde nell’onirico in una scenografia che ha tanto dell’inferno di Gustave Doré, e anche in questo finale non è necessario domandarsi il come si sia arrivati lì, quanto apprezzare un’atmosfera unica di solitudine e sofferenza.

Voto 8.5: dedicato a tutti ai finti horror moderni, dedicato alla computer graphic, agli effetti digitali di stocazzo. Plastilina, sangue finto, maschere di gomma, manichini,  e artigiani artisti del mestiere, non potranno mai essere superati.

Capitano Quint

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Videodrome

David Cronenberg. 1983, Can, 89min

Trama: James Woods interpreta Max Renn, il proprietario di una televisione specializzata di fatto in film porno e di violenza. Scopre però le frequenze di una rete che, per pochissimi secondi, trasmette immagini reali di torture su persone, interrompendo poi il segnale. Max ne rimane folgorato immediatamente. Entra in contatto con Nicki Brand, con la quale intraprende una sorta di relazione, e con il professor O’Blivion, che inizialmente sembra essere a capo di quelle trasmissioni, chiamate Videodrome,  che provocano allucinazioni talmente forti da sembrare reali. Sono queste allucinazioni a cambiare il fisico e la mente di Max, che cercherà di scoprire cosa c’è dietro, tra omicidi e un complotto in cui passa da vittima a complice.

Il Film: Il regista Cronenberg firma anche soggetto e sceneggiatura, dimostrandosi un veggente. Il film esce nel 1983, 30 anni fa, e immagina un mondo dominato dalla televisione, dove gli spettatori sono completamente influenzati da essa, tanto da convincersi che la realtà è quella dentro allo schermo. La scena di Max che guarda la cassetta (sempre bello ricordare i vhs e i videoregistratori) è un emblema degli effetti speciali anni 80. La bellissima Nicki (la supersexy Debbie Harry dei Blondie) chiama Max verso la televisione, che si gonfia con i respiri, escono vene dalla plastica, ed infine esce l’immagine delle labbra enormi nelle quali lui immerge la testa. Da lì in poi il corpo di Max inizierà a mutare, squarci nell’addome, la mano deformata che si fonde con la pistola, tutto il trucido possibile per sottolineare la totale assuefazione alla macchina. Una fusione definita “carne nuova”. Ma sono le piccole cose a rendere geniale il film. Ad esempio all’inizio si crede che Videodrome venga trasmesso dal sud-est asiatico, ma invece si scopre avere sede negli Usa, come se si cercasse di convincersi che il peggio della società sia molto lontano da noi, quando invece è accanto a noi o siamo noi stessi. Dietro a Videodrome non c’è un vecchio pazzo, ma in realtà una grande azienda multinazionale, che controlla, con le trasmissioni, le menti di milioni di spettatori alla ricerca solo di eccitazioni di ogni tipo, sotto forma di prodotto commerciale (abbastanza attuale), non a caso Nicki si chiama Brand, come un marchio commerciale.

Max tenta di ribellarsi al sistema in cui è intrappolato, ma la conclusione può essere solo una: dopo aver visto in televisione la sua immagine che si punta la pistola alla tempia e si uccide, non può far altro che seguire alla lettera cioè che la trasmissione ha previsto per lui, inneggiando a “gloria e vita alla nuova carne”. Perché Videodrome non finisce uccidendosi, Videodrome è insidiato nella società di cui facciamo parte, Videodrome siamo noi che guardiamo la pubblicità, che guardiamo ogni tipo di schermo, che ci facciamo influenzare da tutto quello che vediamo o che crediamo di vedere.

Voto: 8: Visionario, attuale, Cronenberg. Per favore nessun remake.

Capitano Quint

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